TRANSUMANZA

QUESTO BLOG E' IN VIA DI SUPERAMENTO. NE STIAMO TRASFERENDO I POST MIGLIORI SUL SITO DI VIVEREALTRIMENTI, DOVE SEGUIRANNO GLI AGGIORNAMENTI E DOVE TROVATE ANCHE IL CATALOGO DELLA NOSTRA EDITRICE. BUONA NAVIGAZIONE!

martedì 30 giugno 2009

La comunita' asiatica della settimana: Pun Pun (Tailandia).

Pun Pun e’ diverse cose insieme. Vediamole dunque una per volta.
E’, in primo luogo, una fattoria biologica (a circa 50 chilometri da Chiang Mai, la seconda citta’ della Tailandia) in un paese la cui natura e’ straordinariamente esuberante e produttiva.
In secondo luogo un living and learning center, ovvero un posto dove si ha modo di “imparare vivendone la quotidianita’”.
E’ allo stesso tempo una bella esperienza eco-comunitaria, in cui si vive in maniera coerentemente (forse un po’ duramente, almeno per i parametri del sottoscritto) sostenibile, con l’obiettivo di essere di esempio per tutti coloro che volessero avventurarsi sullo stesso sentiero.
Last but nont least, e’ un centro di preservazione di diverse varieta’ di semi locali che vengono poi scambiati (un po’ come si faceva alle elementari con le figurine) con altre fattorie biologiche e persone interessate.
A Pun Pun si produce buona parte del cibo che viene consumato, usando metodi rigorosamente biologici. Le eccedenze vengono portate in citta’, a Chiang Mai, dove e’ stato creato, nella proprieta’ di un importante ed antico tempio buddista (il Wat Suan Dok), il Pun Pun Restaurant..
Nell’ecovillaggio ci si dedica con grande impegno ad una verace bio-edilizia con legno, mattoni prodotti in loco con paglia ed argilla, bambu’, fibra di cocco ecc…
Ne vengono fuori piccoli stabili a meta’ strada tra la casa e la capanna, in linea con lo standard abitativo tradizionale delle campagne tailandesi.
In quanto living and learning center, Pun Pun offre diversi corsi per imparare le tecniche del natural building, letteralmente del “costruire in maniera naturale”. Offre anche corsi piu’ articolati, ad esempio il Pun Pun Internship, dove assieme alle tecniche di “verace bioedilizia” e’ possibile acquisire rudimenti di agricoltura biologica e permacultura, tecniche per il salvataggio dei semi ed approfondire diversi aspetti legati alla vita comunitaria. Quest’ultimo training dura due mesi e dieci giorni (chi volesse saperne di piu’ puo’ visitare il sito internet segnalato in apertura). L’approccio utilizzato nei corsi e’ fondamentalmente di tipo esperienziale, con poca teoria e molta pratica (il learning by doing: imparare facendo). A Pun Pun si crede poco negli specialisti e nei ruoli definiti e molto nell’imparare insieme, consentendosi e valorizzando alcuni errori.
Vivono stabilmente a Pun Pun 6 persone, equamente distribuite tra tailandesi ed occidentali ragion per cui viene correntemente parlato, oltre al thai, l’inglese.

Pun Pun: Mae Tang PO Box 5 Chiang Mai, 50150 Thailand.
Tel +66(0)81-470-1461
E-mail pareents@yahoo.com
Sito internet www.punpunthailand.org

lunedì 29 giugno 2009

Due video sul Villaggio Verde.

Continuando a proporre contributi audiovisivi, oltre che testuali, sulle comunita' intenzionali e gli ecovillaggi (per i contributi precedenti cliccate qui), la settimana di VivereAltrimenti inizia con due video sul Villaggio Verde segnalati, gentilmente, da Fabiola D'Ettorre (fabyola83@hotmail.com).
Buona visione:

www.youtube.com/watch?v=31GprldxOqU
www.youtube.com/watch?v=8kypsV4VB7k

mercoledì 24 giugno 2009

La comunità asiatica della settimana: Auroville.

Aravinda Ghose nasce a Calcutta il 15 agosto 1872.
Il suo nome (“Loto” in lingua bengali) viene anglicizzato in Aurobindo, anche in virtù del forte legame che sviluppa presto con l’Inghilterra.
Come molti rampolli della borghesia indiana, infatti, va a studiare, a sette anni, nel cuore del Commonwealth, prima a Londra e poi a Cambridge. Nel 1893 torna in India dove inizia, con un’intensa attività politica e giornalistica, ad alimentare la lotta per l’indipendenza del paese. Nel 1907 subisce un arresto e trascorre circa un anno — nel corso del quale sostiene di avere “significative esperienza spirituali” — nella prigione inglese di Alipore. Nuovamente in libertà, incontra il guru Visnu Bashkar Lelé che lo guiderebbe a realizzare, in soli tre giorni, una dimensione di “coscienza sopramentale”.
A seguito di questa “esperienza interiore”, la sua prospettiva inizia ad essere più ampia e l’ideale di liberazione, da politico-indipendentista, si allarga all’intero consesso umano.
Nel momento in cui viene informato di essere nuovamente a rischio di arresto, ripara a Pondhicherry a circa 130 chilometri da Madras. Lì si dedica esclusivamente al suo percorso spirituale ed a sviluppare la sua concezione e la pratica dello “yoga integrale”, in grado di unire in una sintesi virtuosa spirito e materia.
Tra i due elementi, stando all’insegnamento non dualistico di Aurobindo, non esisterebbe, difatti, alcuna divisione.
Nel 1920 l’esoterista Mirra Alfassa, conosciuta in seguito come Mère, “La Madre”, si stabilisce definitivamente a Pondicherry, per sostenere Aurobindo nello svolgimento della sua opera.
In questo periodo inizia a prendere “timidamente” corpo una struttura di ashram attorno al maestro bengalese che, con gli anni e soprattutto per merito della Mère, acquisisce dimensioni consistenti.
Nel 1950, all’età di 78 anni, il maestro bengalese lascia il corpo.
Nel 1968, a meno di 10 chilometri da Pondhicherry, Mère fonda Auroville, la Città dell’Aurora. Oggi, ad oltre quarant’anni di distanza, Auroville rappresenta, ogni giorno di più, un interessante “esperimento urbanistico e sociale”, ispirando un numero crescente di persone nella concezione delle città di domani.
Ho vissuto ad Auroville per circa due mesi, un paio di anni fa. Potrei azzardarmi a definirlo un luogo di “edonismo spirituale”.
Del resto, il messaggio di Sri Aurobindo e di Mère è portare il sacro sulla terra, nelle cose di tutti i giorni, ragion per cui non è necessario rinunciare al mondo per ascendere a livelli di più alta vibrazione spirituale ma essere in grado di realizzare quanto la bellezza, l’armonia (anche con la natura, di qui la peculiare vocazione ecologica), il piacere che abbiamo modo di vivere ogni giorno siano, di per sé, “divini”.
In trent’anni sono stati piantati, nel territorio di Auroville (un’area di circa 5 chilometri quadrati), due milioni di alberi.
In principio l’area era un quasi-deserto di terra rossa e sabbia a pochi chilometri dall’oceano.
Oggi, in quella stessa area, si va in bicicletta o in moto su strade sterrate che si snodano in una foresta giovane ed in buona salute.
Il 28 febbraio 1968, nel corso della cerimonia di inaugurazione, la Mère diede lettura della “Carta di Auroville”, articolata in 4 punti:

1) Auroville non appartiene a nessuno in particolare. Appartiene all’umanità nel suo insieme ma per vivere ad Auroville bisogna essere i volontari servitori della coscienza divina.
2) Auroville vuole essere il posto di un’educazione permanente, di costante progresso e di una giovinezza che non conosce invecchiamento.
3) Auroville vuole essere il ponte tra passato e futuro. Traendo vantaggio da ogni sorta di scoperte, Auroville si slancerà in future realizzazioni.
4) Auroville sarà un posto di ricerche materiali e spirituali, per la realizzazione di un’unità umana.

Per quello che ho potuto vedere, credo che i 4 intenti sopra elencati siano stati grossomodo realizzati anche se la strada da fare è ancora molta.
La Mère aveva “sognato” una città che arrivasse, in massimo 20 anni, a contare 50000 abitanti.
Al momento i residenti sono poco più di 2000.
Questa può essere considerata una pecca o la conferma della difficoltà dell’esperimento comunitario.
Ad Auroville, difatti, coerentemente con il primo punto della Carta, non esiste proprietà privata.
Chiunque desideri diventare aurovilliano non può fare investimenti in loco, né in case e terreni, né in attività.
Inoltre, nel momento in cui si sceglie di essere “i volontari servitori della coscienza divina” non si ha certo modo di arricchirsi.
Il salario medio, per chi vive ad Auroville, non raggiunge i 100 euro, pur a fronte di una serie di servizi garantiti gratuitamente dalla comunità.
Continuando a considerare il primo punto della Carta, Auroville appartiene realmente all’umanità nel suo insieme.
I circa 2000 aurovilliani provengono da 35 paesi diversi (la maggior parte sono indiani, seguiti con un certo scarto dai francesi) e credo dunque la si possa identificare come la città più cosmopolita del mondo.
Di conseguenza, i bambini finiscono facilmente per imparare tre o quattro lingue contemporaneamente e multilingue è la biblioteca aurovilliana, con migliaia di testi scientifici, di saggistica e letteratura in tamil, inglese, francese, tedesco, italiano, spagnolo, russo ed olandese.
Venendo al secondo punto della Carta, l’educazione dell’individuo sembra davvero avere un ruolo centrale nella Città dell’Aurora. Questa centralità si realizza a tre distinti livelli; in primo luogo attraverso una costante auto-educazione — imperniata sui principi dello yoga integrale ovvero sul mantenere un livello elevato di presenza mentale nel corso di ogni azione (anche la più banale) ed ogni momento della giornata — in seconda istanza attraverso un processo di crescita collettiva nei gruppi di lavoro e nella gestione comune dei molti aspetti pratici della vita quotidiana e, infine, per mezzo di scuole materiali per i più piccoli (sono attive due asili nido, due scuole materne, una scuola elementare e due scuole superiori, cui si affiancano quattro scuole diurne e 15 scuole serali per i bambini di zone limitrofe).
L’ambito pedagogico, del resto, non è il solo in cui Auroville ha tentato di mettersi in gioco e questo conferma l’aderenza agli ultimi due punti della Carta.
“Traendo vantaggio da ogni sorta di scoperte”, Auroville si è “slanciata” nella realizzazione di molte aziende agricole integralmente biologiche sul suo territorio — che impiegano a tempo pieno circa 200 lavoratori dei villaggi circostanti — e di una “zona industriale” — dove vengono trasformati i prodotti agricoli e realizzati vestiti, incensi, materiale di cancelleria, ceramica ed altro — completamente immersa nel verde.
Naturalmente la produzione aurovilliana si avvale di energie “pulite”.
Sono difatti in opera, sul territorio di Auroville, circa 1200 pannelli solari, 30 pompe eoliche, 30 caldaie solari, 120 cucine solari e 15 impianti di biogas in ferrocemento.
Per utilizzare al meglio il sole, il vento ed altre energie rinnovabili, nel CSR (Centre for Scientific Research) aurovilliano ed in altri centri minori si studiano e sperimentano sistemi via via più sofisticati.
Un esperimento pilota, in questo senso, è un concentratore di raggi solari, sferico, di circa 15 metri di diametro, montato sul tetto della Solar Kitchen (la “mensa” aurovilliana), la cui energia consente di cuocere una quantità di cibo tale da poter servire oltre duemila pasti al giorno.
Accanto ad un lavoro di “produzione”, ad Auroville ne troviamo uno di “erogazione” di diversi servizi.
Ad alcuni è stato già fatto cenno (asili, scuole, biblioteca cui possiamo affiancare: cinema, musica, teatro) ma non è stata certo trascurata la salute.
Ad Auroville è difatti attivo un Health Centre in grado di offrire pronto soccorso, cure a domicilio, controlli di gravidanza ed educazione sanitaria di base.
Sono anche disponibili un gabinetto dentistico, una piccola clinica pediatrica, un laboratorio di analisi, una farmacia ed un piccolo orto officinale.
Venendo, infine, agli aspetti organizzativi, formalmente Auroville è una fondazione costituita da tre diversi corpi: il Governing Board, l’International Advisory Council e la Residents Assembly.
Il Governing Board ha la responsabilità soprattutto della gestione e dello sviluppo della città.
Fanno parte di questo organismo anche funzionari governativi della Repubblica Indiana.
L’International Advisory Council supporta in vario modo il Governing Board.
Nella Residents Assembly, l’assemblea di tutti gli aurovilliani che abbiano compiuto i 18 anni, si prendono “decisioni comuni” — preferibilmente all’unanimità — a partire da varie proposte.
Queste possono originare da liberi cittadini, “gruppi spontanei” o, soprattutto, “gruppi di lavoro”.
La Residents Assembly -che vuole essere il cuore decisionale di Auroville- seleziona, tra i suoi membri, l’Auroville Council con funzione di coordinamento delle attività comunitarie.
Nell’ambito dell’Auroville Council troviamo il Working Commitee, riconosciuto come parte dello statuto legale di Auroville e considerato il corpo rappresentante dell’intera cittadinanza aurovilliana anche presso il parlamento indiano: un gruppo di sette persone selezionate con diverse formule, non ultima le classiche elezioni.
Esiste infine un Segretario della Fondazione, nominato dal Governo Indiano, che risiede ed ha un proprio ufficio ad Auroville.
In conseguenza del fatto che alle assemblee dei cittadini aurovilliani è difficile partecipino tutti, le decisioni prese non sono mai definitive e vengono comunicate con il settimanale interno — News and Notes — ed attraverso la auronet cittadina.
“Nel corso dell’assemblea”, mi diceva Luigi Zanzi, un aurovilliano con “buona anzianità”, “c’è il moderatore ma c’è soprattutto un richiamo costante, quando le emozioni diventano troppo forti, a dei momenti di interiorità e silenzio”.

Visitors Centre Auroville, 605101 -Tamil Nadu- India
Tel. 0091/413/62239 - Fax 0091/413/62274
E-mail guest@auroville.org.in
Web Site www.auroville.org

lunedì 22 giugno 2009

Il Frattale del pianeta umano. Il cerchio delle reti.

In apertura di settimana, condivido un documento scritto da Mario Cecchi, figura carismatica del Popolo degli Elfi e membro, da diversi anni, della Rete Bioregionale. Personalmente non mi trovo d'accordo con Mario su diversi punti, pur apprezzando più di un aspetto della sua scelta di vita e della dimensione elfica. La mia visione del viverealtrimenti è alquanto diversa, pur in presenza di alcuni elementi di convergenza. Sappiamo, del resto, che in uno spirito autenticamente laico la diversità può essere spesso valorizzata come ricchezza ed è in questa prospettiva che dò il benvenuto a Mario ed alla sua poetica tribù (per quanto non vada mai dimenticato che "ogni rosa ha la sua spina") nella nascente Fratellanza di VivereAltrimenti.
Mario:


Il panorama associativo è costellato da migliaia di associazioni con migliaia di statuti i quali si assomigliano tutti, differenziandosi solo per alcune particolarità, quindi in teoria è possibile ridurle ad un unico denominatore comune: la voglia di aggregarsi, di unirsi in piccole cellule per contare di più, per incidere maggiormente nel tessuto politico sociale italiano.
Analogamente i partiti che sono espressione del popolo in politica, in quanto lo dovrebbero rappresentare in sede parlamentare, sono diventati espressioni di se stessi, tendono a perpetrarsi riproducendo meccanismi di privilegio e di potere che hanno travolto la politica in quanto gestione della cosa pubblica, facendo invece gli interessi delle lobbies economiche più potenti, multinazionali di ogni settore. Abbiamo assistito quindi ad una progressiva degenerazione del panorama politico istituzionale, sociale ed economico della vita e della società italiana arrivando al culmine apologetico della persona ove un unico individuo ha il potere economico, politico, massmediatico nelle proprie mani, da ricalcare quasi la figura del duce re onnipotente.
Dal lato opposto alla centralizzazione del potere nelle mani di un piccolo gruppo di persone a livello mondiale, non ha corrisposto una aggregazione di massa a tutela dei propri interessi che contrasta l’unificazione dei potenti dando vita ad un’opposizione radicale e determinata per la difesa della libertà individuale e dei diritti della terra. Attraverso la frantumazione degli interessi generali in piccoli interessi particolari, si è assistito e si assiste alla frantumazione delle organizzazioni che in nome di quelli interessi specifici difendono unicamente quel settore. Una logica sbagliata e perdente ( che avevano già adottato i romani per comandare col famoso detto “dividi et impera”) in cui noi ci ricadiamo costantemente, ingenuamente o per malafede, a discapito della nostra incisività e forza nell’azione politica, sociale… Per questo sta nascendo un nuovo tentativo di riunificazione, dell’arcipelago dei movimenti che hanno a cuore le sorti del pianeta, perché a differenza degli altri tentativi che erano prettamente politici e antagonisti, il nuovo cerchio delle reti intende unificare in una visione olistica, inclusiva, non partitica, di difesa degli interessi generali delle popolazioni e della terra nel suo insieme comprendendo l’ecosistema da cui è composto: Acqua, Terra, Aria, Regno Animale, Vegetale e Minerale indi inclusa la bio-diversità. Questa concezione onnicomprensiva del tutto è più avanzata della politica intesa in senso stretto come è stata intesa fino ad oggi, che con il proprio materialismo meccanicistico ha portato al degrado dell’individuo, alla sua alienazione, alla perdita dei valori spirituali eterocentrici che riguardano il suo collocamento in un sistema più ampio di relazioni che comprende tutta la trama della vita e non la sua visione egocentrica.
Allora, rimanendo anche ciascuno nella propria specificità di intervento è importante collegarsi, connettersi in rete con gli altri e le altre associazioni e movimenti per creare una convergenza di energie, di mutua solidarietà, di scambi e di informazioni, in modo da intessere una trama che in ultima istanza genera una società diversa fondata sui valori sociali umani e spirituali che condividono la responsabilità ed il piacere di essere custodi della Madre Terra e degli elementi che la compongono e hanno il compito di preservarla per le generazioni future. È ovvio che questo non può avvenire se non tramite ad una critica radicale del sistema attuale per tutte le ragioni che ben sappiamo. Altresì deve proporre ed attuare pratiche di vita e modelli di società diversi che sono economicamente, eco logicamente e umanamente più sostenibili e compatibili con l’ecosistema universale tenendo conto di tutte le relazioni anche quelle connesse con il cosmo; ponendo fine alla visione antropocentrica dell’uomo e collocandolo nel suo giusto ruolo in questa distesa infinita di relazioni.
Una visione ed una pratica che per altro è già conosciuta nella società attuale poiché migliaia sono i tentativi già sperimentati in tali direzioni, anche se stentano a farsi strada, sia per le contraddizioni interne che minano alla base queste esperienze perché è difficile staccarsi dai riferimenti e dai condizionamenti attuali, sia per le pressioni che le strutture social- repressive e religiose mettono in atto nei loro confronti. In questa direzione comunque vanno avanti esperienze di finanza etica, microcredito, banca del tempo, reti di economie locali, monete complementari, convivenze solidali, eco-villaggi, cohausing, famiglie aperte, case-famiglia, gruppi di acquisto, mercatini del biologico, ristoranti che praticano rifornimenti a chilometro zero, filiera corta, scuole familiari, centri sociali autogestiti, scienziati, sociologi, terapeuti, medici naturopati, medicine non convenzionali quali shatzu, agopuntura, fitoterapia, bioenergetica, medicina di Hammer, pranoterapia, agricoltura di sussistenza, agricoltura sinergica, permacultura, beni comuni, uso civico, movimento per la decrescita, macrobiotica, vegetarianesimo, economia poetica, ecc che sono tutte esperienze di vita o modalità di intervento nelle pratiche sociali, che per il solo fatto di porsi in essere contrastano l’imperativo sociale dominante che pone l’economia al primo posto e subordina tutti gli altri interessi compresa la salute umana e del pianeta, al dogma che chi comanda è il denaro.
Non è vero, l’uomo è dotato d’intelligenza e non tutti sono disposti a vendersi per denaro, tanti magistrati e funzionari l’hanno dimostrato pagandone di persona, venendo estromessi, reclusi, annientati o non avanzando di carriera, ma ciò non significa che hanno perso. Perde chi rinuncia alla propria dignità pur di ricoprire un ruolo più alto ed avere uno stipendio maggiore, perde chi fa un lavoro che non lo soddisfa ma ne è costretto perché si sente incapace di uscire dal meccanismo, perde chi lo fa coscientemente perché quello è l’unico modo per sopravvivere e farsi strada, perde perchè non vede oltre il vantaggio immediato e non vede che cosi facendo mette in crisi gli altri individui come lui, le relazioni umane e spirituali che si basano su altri valori oltre che l’ecosistema terrestre perché sarà disposto a danneggiare, inquinare, consumare le risorse naturali pur di trarne profitto. Del suo operato paghiamo tutti le conseguenze ed è per questo che si deve creare una coalizione cosi ampia che riesca a fare aprire gli occhi e la coscienza anche a queste persone vittime dell’ingranaggio, che riesca a fare percepire l’interesse di tutti piuttosto che il proprio personale tornaconto, che riesca a far capire che procedendo con quel sistema siamo arrivati al punto in cui siamo, senza una via d’uscita o quasi, il degrado ci divorerà, ci autodistruggeremo.
Per cui quel che è possibile fare facciamo, ciascuno nel proprio ambito, con i propri mezzi, con il proprio talento e cuore. È ovvio che non si vuole creare un organo centralizzato supervisore ed omologante di tutte le associazioni o reti, ma un coordinamento a cui dare ed attingere informazioni, iniziative, impulsi, per far fronte tutti insieme, uniti, all’emergenze naturali, sociali ed umane che saranno sempre più presenti nei prossimi anni, a causa dei processi vitali che si stanno compiendo causati dal comportamento irresponsabile dell’uomo o non, ma ci troveremo davanti a situazioni ove non ci saranno più istituzioni o partiti che potranno garantire la sopravvivenza, l’ordine, i consumi a cui siamo abituati, sia pure ingiusti, autoritari e soprattutto dissipativi delle risorse come fossero illimitate; ma ce la dovremmo cavare da soli unendoci, autogestendoci, mettendo in atto la democrazia partecipativa senza maggioranza o minoranza ma attuando un processo decisionale basato sul consenso.
Ed i governi? Si troveranno spiazzati, non avranno più ragione di esistere, non avranno più sudditi su cui comandare. Il movimento della disobbedienza civile avrà conquistato il mondo. Le comunità locali avranno ripreso l’autogoverno del territorio ed agiranno in piena autonomia rimanendo fedeli all’imperativo dell’armonia universale e in rapporto alla nostra Madre Terra.

Mario Cecchi - giuliettablu@hotmail.com

lunedì 15 giugno 2009

La comunità europea della settimana: Findhorn Foundation.

La storia di Findhorn Foundation e’ alquanto “esoterica”. Ha inizio con la ricezione di messaggi ultramondani da parte di una donna, Eileen Caddy, manager assieme al proprio compagno Peter, in un hotel nel nord della Scozia. Siamo alla fine degli anni ’50. Al principio dei ’60, Eileen riceve un messaggio che la spinge a trasferirsi, con Peter ed il loro caravan, in un campeggio alle ultime propaggini del villaggio di pescatori Findhorn, non molto distante da Inverness (Scozia). Sarebbero rimasti li’ circa 14 anni, pensando all’inizio di rimanere tre mesi, assieme ai tre bambini e a Dorothy McLean. Quest’ultima avrebbe acquisito, nel tempo, una certa notorieta’ per la capacita’ di curare gli orti in piena cooperazione con gli “spiriti della natura” e “quell’intelligenza che sta dietro ad ogni pianta”, ottenendo ortaggi giganteschi che avrebbero destato un discreto clamore nel mondo intero.
Con l’avanzare degli anni ’60 e, poi, dei ’70, Eileen continua a ricevere quotidianamente messaggi ultramondani. Il fenomeno inizia ad attirare ricercatori spirituali, hippies, artisti, i primi studiosi della New Age e, con il consolidarsi dell’esperienza comunitaria, alcune famiglie.
Il 1980 è un anno di svolta nella storia di Findhorn: Eileen riceve un messaggio in cui le viene detto che il canale di comunicazione ultramondano sarebbe stato interrotto. E’ giunto difatti il momento che i findhorniani sviluppino la capacita’ di trovare la guida dentro di se’, senza ricorrere quotidianamente ad intermediari. La notizia ha ripercussioni shockanti; circa 100 membri lasciano la comunità nel giro di una settimana.
Nello stesso anno viene ancheacquistato il Caravan Park ed inizia dunque un graduale ma inesorabile processo di sostituzione dei caravans con case ecologiche per quanto, ancora oggi, roulottes, campers e furgoni occupino uno spazio cospicuo a Findhorn Foundation.
Oggi la fondazione ha 12 fiduciari che sono i responsabili legali della comunità e si riuniscono con cadenza annuale. A questi si affianca un manager-team ed ogni reparto (cucina, giardino, manutenzione e home-care, pubbliche relazioni, contabilità, programmi educativi ecc.) ha i suoi focalizzatori che si riuniscono una volta a settimana.
In generale, le decisioni vengono prese preferibilmente usando il metodo del consenso (dunque tendenzialmente all’unanimità) e coinvolgendo tutti i membri della comunità o, in casi particolari, ricorrendo ad una maggioranza corrispondente ai 2/3.
Alcune decisioni, tuttavia, possono essere prese da una minoranza illuminata, il management, composto dai diversi focalizzatori dei reparti principali. A livello
economico, oltre il 90% delle entrate della fondazione vengono dai programmi educativi (il processo educativo, a Findhorn, ha una chiara matrice olistica, esperienziale ed evolutiva), cui si affianca una piccola percentuale di donazioni.
Molte case, a Findhorn, sono quasi autosufficienti dal punto di vista energetico, potendo fruire dell’apporto di 4 mulini a vento ed avendo ciascuna un proprio sistema di pannelli solari per il riscaldamento dell’acqua.
Naturalmente tutto, nell’ecovillaggio, viene riciclato ed è anche stato approntato un sistema -che i findhorniani chiamano The living machine- di purificazione delle acque della fognatura del Park; un sistema completamente biologico per il quale vengono utilizzate specifiche colture. Sul fronte alimentare ancora la comunità non può essere autosufficiente.
Si offrono una media di 5000 pasti a settimana e gli orti comunitari non sono in grado di approvvigionare le cucine.
Molto viene dunque comprato fuori, soprattutto da aziende biologiche di persone coinvolte, pur indirettamente, nell’esperienza comunitaria.
Il decano tra gli ecovillaggi conta oggi oltre 400 membri -molti dei quali vivono tra il Caravan Park e lo splendido edificio di Cluny, dove Eileen e Peter lavoravano come managers negli anni ’50 e che stato in seguito acquistato dalla fondazione- ed è membro dell’UNESCO.

Findhorn Foundation
The Park, Forres Moray (IV36 OTZ).
Tel. 44 (0) 1309-690311
E-mail enquires@findhorn.org
Sito internet www.findhorn.org.

venerdì 12 giugno 2009

Sgombero a Campanara.

Riporto la notizia, telegrafica, dal sito di Indymedia:

E' attualmente in corso lo sgombero del "Casone", uno dei casolari occupati nella Valle di Campanara (Palazzuolo sul Senio, provincia di Firenze). L'edificio è circondato da una ventina di poliziotti, intenzionati ad evacuarlo e transennarlo, mentre 3 compagni sono saliti sul tetto e altri 10 sono rimasti a terra.

Seguiranno aggiornamenti

giovedì 11 giugno 2009

Il nostro caro Angelo.

Si è spento domenica 7 giugno, nella sua casa di Roma, alla presenza dei figli e degli amici più intimi, Angelo Quattrocchi, editore della Malatempora, lasciando un vuoto difficilmente colmabile nell’editoria radicale ed alternativa.

Era l’inizio del nuovo millennio, nella libreria de Il Manifesto, a Roma. Veniva presentata una nuova rivista — Libertaria — erede della Malatestiana Volontà.
Uno degli interventi in sala è vitale, un po’ sopra le righe, con qualche lieve picco di delirio. È lo scrittore Angelo Quattrocchi. Avevo letto un suo articolo, piuttosto veemente, su uno dei primissimi numeri della rivista. A fine presentazione distribuisce ai convenuti alcuni volantini fotocopiati in cui vengono presentati pochi titoli di una nuova casa editrice: Malatempora . Sono contento ci sia un nuovo editore di area anarchica (ricordo la frase di un mio amico anarchico: se c’è una cosa che siamo bravi a fare sono le case editrici), pur se evidentemente meno professionale dei milanesi dell’Eleuthera.
Mesi dopo, un amico mi invita ad un cocktail-party in casa Quattrocchi, a Trastevere. Era un mercoledì ed il party ricorreva, con cadenza settimanale, senza perdere un colpo. Ogni mercoledì si beveva, si mangiava qualcosa, si parlava e, soprattutto, si sproloquiava in casa Quattrocchi, poco distante, coincidenza forse non del tutto casuale, dal carcere romano di Regina Coeli.
Angelo era alla costante, disperata ricerca di venditori di strada dei suoi libri. Si definiva un beat, probabilmente l’ultimo verace in una Trastevere prerogativa crescente di VIP di vario ordine e grado. Trovo avesse anche una concezione drammaticamente beat dell’editoria, evidentemente legata a logiche, stradaiole, degli anni ’70.
A quasi dieci anni di distanza dal momento in cui lo conobbi nella libreria de Il Manifesto, direi che parte della sua produzione editoriale possa essere benevolmente definita “editoria fuori”, ragion per cui la Malatempora non ha mai avuto molto spazio nelle librerie. Aveva ed ha, tuttavia, una sua efficacia, salvo forse alcuni eccessi, nel fare breccia nella cortina del conformismo e dell’ipocrisia.
La Malatempora ha inoltre avuto il grande merito di essere un punto di riferimento per autori emergenti, penalizzati nell’accesso agli ambienti blindati dell’ “editoria dentro”. Con Angelo non era difficile pubblicare. Era sufficiente avere qualche buona idea e proporgliela nel corso di uno dei suoi cocktail party, magari passandogli una canna, in un contesto che ha ispirato l’aggettivo malatemporoso tra i più intimi frequentatori.
Io nel 2002 ho una buona idea: scrivere un testo su un ambiente “fuori” visto “dal di dentro”, quello dei militanti vegetariani. Angelo mi sa dare consigli puntuali ed efficaci. Conosce Nico Valerio, autore Mondadori, grande esperto di alimentazione naturale e vegetariana, frequentatore, per un certo periodo, del suo cocktail party. Mi dà il suo numero di telefono dicendomi: «chiamalo e fissa un appuntamento ma non andare impreparato, bisogna fare i compiti a casa quando si va dal grande esperto!».
Vegetariani come, dove, perché è presto pubblicato. Ho avuto la possibilità di scrivere quello che volevo, di raccontare anche una mia esperienza di digiuno con un eremita che viveva in una grotta, poco distante da Roma e mi faceva fare un enteroclisma (un ricco clistere) al giorno, sostenendo rappresentasse il vero battesimo dell’acqua.
Prima di pubblicare il testo, Angelo mi affida allo scrittore Massimo Mongai, per un editing. Massimo, ricordo, era piuttosto perplesso riguardo l’opportunità di identificare i miei enteroclismi con uno dei pilastri sacramentali del cristianesimo. «Vedi», mi diceva, «bisognerebbe specificare che si tratta di una concezione radicalmente apocrifa, altrimenti rischiamo un autogoal». Angelo non era minimamente preoccupato e, dopo circa un anno dalla pubblicazione, presentò sfacciatamente Vegetariani come un best-seller sulla quarta di copertina del mio secondo testo Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia, pubblicato ancora con lui. Quest’ultimo ebbe un successo insperato e non posso dimenticare gli ultimi ritocchi che facemmo insieme, a casa sua. Stavamo preparando il PDF definitivo ed il sociologo tedesco Tönnies era orfano di umlaut (i due puntini sulla “o”). «Angelo», gli dico preoccupato, «manca l’umlaut, dovremmo aggiungerlo!». Risposta sua, splendidamente stentorea: «me ne fotto!».
Era più preoccupato di rivedere il brano su Calcata, borgo medioevale tra Roma e Viterbo evacuato negli anni ’60 e ripopolato da artisti, intellettuali, hippies, “originali”. Dita che scorrono sulla tastiera del computer, scrive «Calcata sorge su uno sperone di tufo, rotondo…». Lo interrompo: «Angelo, dove lo hai visto lo sperone rotondo?». E lui, mentre continua a scrivere: «mi sono preso un acido, una volta, a Calcata». «Ah», rispondo, «ecco perché lo vedevi rotondo!». Lo sostituisco alla tastiera e lo sperone su cui sorge Calcata perde l’aggettivo inappropriato.
Aneddoti ce ne sarebbero molti, come quella volta, nell’estate del 2002, che pretese che io ed un giovane fricchettone (Easy Rider) seguissimo diverse manifestazioni della CGIL — con tappe in tante città d’Italia, al centro, al nord ed al sud — con il banchetto dei libri Malatempora. Con Easy Rider ci fermammo a Civitavecchia (la prima tappa, partendo da Roma) ed io mi rifiutai di proseguire. I responsabili della CGIL, tra l’altro, non ci volevano tra i piedi. Lo dissi ad Angelo e lui: «vengo io, vedrai che li convinco, li minaccio di spifferare tutto a La Repubblica». Per fortuna non riuscì nemmeno lontanamente a persaduerli e, per farsi perdonare per il disagio causato a me e Easy Rider, ci portò a mangiare il pesce a Capocotta, la spiaggia gay di Ostia. Dopo cena giocammo a biliardino. Io ed Angelo contro Easy Rider che però continuava a vincere, anche giocando con una mano sola. Angelo si arrabbiava e se la prendeva con me ed Easy Rider ci minacciava: «se vinco ancora io, per penitenza dovete rimettervi dietro alla carovana della CGIL, voi due questa volta». Ed io non potevo che ribattere: «no, dietro la carovana della CGIL no!».
Un’altra volta partimmo con Bruno — il mio amico che per primo mi portò a casa Quattrocchi — ed Angelo per portare alcuni libri a Viterbo. Io avevo appena smesso di fare il pon-pier ovvero il pony express e PR della Malatempora. Non ne potevo più, farsi pagare da Angelo era una sorta di mission impossibile. Pensavo di essere finalmente un uomo libero quando, puntuale, arriva la sua telefonata: «ti chiedo un ultimo servizio di modo che tu possa uscire da questa esperienza di collaborazione brillantemente; dobbiamo andare a Viterbo, a portare in magazzino 300 copie di Pissing». Era la sua ultima creatura, un testo scritto da un transgender sulla pratica erotica in titolo. Angelo non aveva la macchina, non aveva cellulare, dunque faceva ogni sorta di manfrina per coinvolgere altri nelle sue faccende. Io, a mia volta, coinvolgo Bruno e partiamo con la sua vecchia Panda e probabilmente non abbiamo un prodotto integralmente legale in macchina, malgrado la copertina riporti, innocentemente, l’immagine di un quadro di Gustav Klimt. Fu un viaggio spassosissimo. Angelo ci raccontò di una volta che viveva in America ed aveva, come sempre, una “casa aperta”. Parte per un periodo senza preoccuparsi di chiuderla, fiducioso che i frequentatori la gestiscano al meglio. Al suo rientro si trova casa occupata da integralisti islamici senegalesi e deve darsi molto da fare, con le sue solite manfrine, per rientrare in possesso del suo alloggio. Ci fu poi il periodo che era spiato dal KGB e si ritrovava sempre in casa, infiltrate, donne russe bellissime. Telegrafico il suo commento: «che scopate!».
Arriviamo a Viterbo, tra un aneddoto e l’altro ed il magazziniere, con Pissing tra le mani, dice ad Angelo: «tu fai un libro di questo tipo, con questa copertina innocente. Mi immagino, in libreria, un’anziana signora che, attratta dalla copertina, lo inizia a sfogliare e trova fotografie oscene, travestiti che si pisciano in faccia. Tu sei proprio matto!». Ed io e Bruno, naturalmente, a ridere a crepapelle.
Passano gli anni. Mi trasferisco in India ed Angelo vende la sua casa a Trastevere e si trasferisce nel più modesto ma vitale ed underground quartiere del Pigneto, a Roma.
Lo rivedo l’ultima volta l’anno scorso, dopo un’allarmante telefonata. Ricordo che quando lui rispondeva al telefono, io esordivo regolarmente con un entusiasta ed affettuoso “Angelotto!”. E’ contento di risentirmi e mi vuole rivedere, dopo una mia permanenza in Asia di oltre un anno. Quasi come pro-forma gli chiedo: «come stai?». «Sono un po’ acciaccato!», mi risponde. «Che è successo?», gli chiedo spensierato (cosa poteva essere mai successo ad una persona che si limita a dire: sono un po’ acciaccato). Lui: «quando vieni ne parliamo!». Io a quel punto inizio a preoccuparmi, insisto per sapere qualcosa di più. Lui sospira: «ho un cancro alla prostata ma quello sarebbe il meno, mi si è esteso alle ossa, sono imbottito di antidolorifici che non fanno nemmeno il loro mestiere. Sono acciaccato, davvero!». Inutile dire che la notizia mi sconvolge. Giunto a Roma corro a trovarlo. Cammina con il bastone. Passiamo una bellissima serata a chiacchierare. Parliamo dell’India, della Thailandia, lui mi racconta della sua esperienza di gioventù in Vietnam, dove vorrebbe ritornare, dove, durante la guerra, aveva aiutato i disertori a fuggire oltrefrontiera, sotto il naso della CIA. Nel mio soggiorno romano devo anche seguire la pratica del visto all’ambasciata indiana. Una pratica complessa per un visto lungo. Lui insiste per farmi una lettera di presentazione su carta intestata, dichiarando che devo stare in India, da studioso, per scrivere un libro che lui stesso mi aveva commissionato e che confidava nella storica disponibilità del gigante asiatico ad accogliere intellettuali europei. Aveva un’anima generosa e, credo, mi voleva molto bene. Una volta, davanti ad un piatto di trippa, qualche tempo prima che si ammalasse, accennò a quelle che considerava le “nostre affinità elettive”. Anche io gli volevo bene anche se sentivo di non volergli assomigliare per troppe cose e non amavo essere troppo condizionato dalla sua figura. Una figura quasi di maestro, gli dissi l’ultima volta a Roma, sul fronte della scrittura. A luglio 2008 torno in India ma, con Angelo, restiamo in contatto via mail. Ci penso spesso, sono preoccupato. Un giorno trovo queste parole su una sua e-mail: «ti scrivo da sedia a rotelle, sono all’altezza esatta del computer, non sto più in piedi!». Poco tempo dopo lo chiamo da una gradinata sul Gange. E’ in clinica, stanno tentando il tutto per tutto per rimetterlo sulle sue gambe ma sarà difficile, difficilissimo. Parliamo di un suo libro che sto leggendo, Wounded Knee, su di una importante rivolta degli indiani d’America nella prima metà degli anni settanta. Non vuole parlare della malattia, dice che i miei libri sono sempre amati, che continuano ad ordinarli in casa editrice. Angelo non si alzerà più dalla sedia a rotelle ma, in qualche mail successiva mi scrive: «sto bene…dalla cintola in su». Torno a Roma ad aprile di quest’anno, sono pieno di cose da fare. Devo anche andare da Angelo, ci devo anche andare con diversi amici, dovrei andare alla presentazione del testo di un suo autore ma alla fine non se ne fa nulla. Non so, in realtà, che Angelo non sta per niente bene dalla cintola in su, che il cancro lo sta divorando, che non sempre è lucido, che a volte ha la febbre, a volte è esausto e non riesce quasi più a lavorare. Sabato 6 giugno sono a casa. Ho un impulso irrefrenabile; è giunto davvero il momento di rivedere Angelo. Lo chiamo a casa (che è anche la sede della sua casa editrice), mi risponde una voce di ragazza. E’ la figlia, non capisce bene chi sono anche se mi conosce, mi passa Stefano, il factotum che mi dice: «ti avrei chiamato a minuti, Angelo è in coma, è questione di ore, non credo di giorni, è in uno stato vegetativo, oramai». Restiamo d’accordo, con Stefano, che mi contatterà ad avvenuto decesso. Incasinati fino alla fine, alla Malatempora, non riceverò la sua chiamata. Scopro del decesso leggendo una e-mail mentre sono, per sbaglio, su un pullmann per Saxa Rubra, alla periferia di Roma. È lunedì ed Angelo è mancato il giorno prima. Telefono a Stefano e ci diamo appuntamento, di lì ad un’ora, al cimitero romano di Prima Porta, poco distante, per mia fortuna, da Saxa Rubra. Ci troviamo davanti al crematorio, Angelo è già andato e siamo un piccolo drappello di amici e due dei suoi tre figli. Due parole, qualche battuta, la prospettiva di una festa di commemorazione fra un mese, un passaggio in macchina per me che ho la mia dal meccanico. Il corpo di Angelo, intanto, è diventato cenere. La macchina di Stefano esce dal cimitero, siamo in cinque, giovani e giovanissimi, amanti della scrittura, aspiranti scrittori, scrittori fatti ma che ancora debbono “camminare”, “figliocci” suoi, di Angelotto, del nostro caro Angelo che ha anche ispirato un personaggio, senza nome, di un mio romanzo: “un vecchio amico” che, proprio come lui, non potevo che definire “strampalato e geniale”.

venerdì 5 giugno 2009

La comunità europea della settimana: Christiania.

Siamo agli albori degli anni ‘70 e nel quartiere Christianshavn, alla periferia di Copenaghen, serpeggiano istanze autogestionarie. Un’antica area militare di oltre 85 acri (circa 3 ettari), da anni inutilizzata, inizia ad incuriosire -ed ingolosire- diversi abitanti, eterogenei per eta’ e ceto sociale.
In breve tempo cresce l’interesse per i vecchi casermoni, si iniziano a forzare serrature arrugginite, a far cigolare cardini “ingrippati” fino a che, nel 1971, viene proclamata l’area, ribattezzata Christiania, una citta’ libera.
La notizia si propaga rapidamente e la zona occupata inizia ad attirare hippies, squatters e, piu’ generalmente, persone alla ricerca di una vita diversa.
Dopo qualche fisiologico conflitto con il governo danese, Christiania (qualificata anche come Free Town) viene presto riconosciuta come “esperimento sociale” e, nel tempo, riuscirà a mantenere questo status anche nel corso di momenti difficili con le istituzioni.
Uno di questi si viene a creare quando, alla fine degli anni ’70, il parlamento approva un piano locale che divide l’area in una zona “legalizzabile” ed una da sgomberare.
Christiania non piega la testa; viene fondata una rivista, Nitten in cui la comune metropolitana si presenta orientata in senso ecologico, creando i presupposti per redigere, in un secondo momento, un “piano alternativo”.
Allo stesso tempo, essendo molto propositiva da un punto di vista culturale -soprattutto in ambito musicale-, diventa una delle maggiori attrazioni turistiche a Copenaghen.
Nel ’95 la Free Town si dota del quarto asilo, accessoriato di pannelli solari e compost-toilet e l’anno successivo converge, con il Ministero della Difesa, su un piano locale di compromesso.
E’ questa una fase abbastanza tranquilla per la Free Town che culmina, nel 2000, con un concerto cui partecipa un ospite d’eccezione: Bob Dylan. Nel 2001, tuttavia, la Danimarca vota a destra ed il confronto di Christiania con le istituzioni diventa più difficile.
Obiettivo del governo e’ utilizzare parte dell’area per l’edilizia privata, stravolgendo lo spirito collettivista dell’esperienza cristianita. Da allora è in atto un braccio di ferro che assume, volta per volta, caratteristiche diverse ma i cristianiti non hanno alcuna intenzione di cedere e stanno ricorrendo a mezzi diversi, finanche legali (un’ipotesi è costituirsi in fondazione) per preservare l’esperimento sociale e comunitario.
Da un punto di vista organizzativo Christiania e’ una Consensus Democracy. L’assemblea generale di tutti i cristianiti e’ il piu’ importante organo di autogoverno ed e’ previsto che qualunque decisione debba essere frutto di un accordo grossomodo unanime tra i partecipanti agli incontri.
Allo stesso tempo, l’organizzazione della vita collettiva e’ decentrata nelle 15 zone in cui la comune e’ suddivisa. Nelle assemblee di quartiere viene organizzata la vita locale e, parallelamente, si discute di questioni piu’ generali, le stesse che vengono poi dibattute nell’assemblea di tutti i cristianiti.
A Christiania, come ad Auroville, sono attivi diversi gruppi di lavoro che si occupano della gestione dell’economia interna, delle problematiche tecniche, ecc.
La Free Town si sostenta con il contributo mensile degli abitanti e parte degli introiti delle attività di alcuni cristianiti sul suo territorio: negozi (di generi alimentari, cancelleria, ferramenta ecc.), bar, locali, nonché una “casa della salute” che offre, tra i suoi servizi, una piacevole sauna.

Christiania.
Tel. +45.3295.6507.
E-mail di riferimento: tata@tata.dk
Sito internet www.christiania.org.

lunedì 1 giugno 2009

2-5 giugno: incontro d’arte in natura a Campanara.

Apriamo la settimana con questa comunicazione che ha come oggetto un simpatico evento nella realtà comunitaria di Campanara, laddove la provincia di Firenze si protende verso il confine con l’Emilia Romagna. Il posto è ancora selvaggio e particolarmente suggestivo. Per quanto la comunicazione venga divulgata con un po’ di ritardo, consiglio a chi si voglia rilassare qualche giorno di prenderla in considerazione. Naturalmente si può anche arrivare il 3 o 4 giugno ed essere ben accolti e trattenersi qualche giorno oltre il 5. Chi ha tempo non aspetti tempo…

Nella valle di Campanara sugli Appennini tosco-emiliani, dove la terra si avvicina al cielo per esprimere tutto il suo essere natura libera, risvegliamo l’arte pura intrinseca in tutto ciò che vive. Oltre all’idea di far vedere come si vive quassù, c’è la voglia di festeggiare la primavera e le sue notti chiare. L’arte sarà il motivo principale che ci terrà assieme. Letture di poesie. Spettacoli teatrali. Istallazioni sonore. Scultura. Pittura. Musica ed ogni arte in qualsiasi forma. Invitiamo tutti gli artisti o i potenziali tali a partecipare all’incontro che si terrà in un ecovillaggio situato sopra le montagne di Palazzuolo sul Senio (ad 11 chilometri da Marradi).
L’idea è quella di un raduno in cui si ricerca l’unione delle arti in una improvvisazione continua. L’arte che si fonde con l’arte. La magia del bosco è il nostro palcoscenico. Le energie il nostro inchiostro e la terra la nostra penna. Visto che ci sono arrivate delle ordinanze di sgombero dovute all’occupazione e al nostro stile di vita e visto che l’arte è una forma di resistenza, crediamo che comunque vadano gli eventi nessuno mai potrà proibirci di essere liberi ed amare la Madre terra ed i suoi misteri.

Orsù dunque. Artisti, montanari, cittadini, occupanti e no, giramondo senza padroni, bambini (maestri di libertà), persone di qualsiasi età, di colore e di pensiero, uniamoci dal 2 al 5 giugno.

Le poche cose che chiediamo di portare sono: tende, sacchi a pelo e del cibo…sarà comunque presente un’organizzazione per tutta la tre giorni: pizze al forno (cotte in forni di terra cruda semoventi), dolci, pane, eccetera.
Amanti dei cani: in questo villaggio vivono in libertà già tanti cani pastore, capre, pecore, galline, colombe, asini, eccetera. Vi chiediamo a malincuore di non portarli…se questo non fosse possibile ci vorrà un grandissimo impegno per la pace di tutti.

Per visualizzare una pseudo-mappa: www.autistici.org/nascereliberi/contatti.php

Numeri telefonici di riferimento:

Elisa 335406342
Laerte 3272025130