TRANSUMANZA

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mercoledì 22 luglio 2009

La coscienza trascendente.

Sono ben contento di presentare qui alcune riflessioni di Bhakti Binod, presenti sul sito riflessioni.it. Ho conosciuto Bhakti Binod a Varanasi, in India. Avendo l’eta’ di mio padre, l’ho soprannominato Daddy. Nel corso di circa un mese, ho avuto modo di assaporare la sua fragranza spirituale, frutto di oltre trent’anni di rigorosa ricerca, oltre ad alcuni aspetti che ho trovato decisamente spassosi (quando qualcuno gli domanda cosa faccia nella vita lui risponde sollecito e risoluto: niente!).
In veste, naturalmente, romanzata, Daddy è entrato nel mio primo romanzo che stavo finendo di scrivere proprio nel periodo in cui ci siamo conosciuti, “Un giardino dell’Eden”, presto in libreria con la viverealtrimenti ltd.
Ne riporto, di seguito, alcuni passaggi di ambientazione indiana (varanasina) relativi all’incontro ed all’amicizia tra il protagonista — Siddharta — ed il personaggio citato:


Daddy veste regolarmente un pajami (abito tradizionale indiano, del tutto assimilabile ad un nostro leggero pigiama) color zafferano e calza pianelle da doccia o sandali indian-style.
Anche Siddharta ha comprato una mini-serie di pajami e due paia di sandali indian-style.
Sta difatti maturando la consapevolezza che una delle cose più belle che ci si possa permettere in India è proprio starsene in pigiama e ciabatte tutto il giorno, in casa come in strada e che questo non può non agevolare un auspicato rilassamento del corpo e dell’anima.
Siddharta trova in Daddy un impareggiabile teorico del rilascio di ogni inutile tensione.
Daddy è un pensionato-baby che ama crogiolarsi in un dolce — ma religiosamente sensato — far niente, proponendo, se ispirato, un piccolo prontuario del “fancazzismo”.
Le sue parole risuonano come echi di una saggezza principiale: “se ti viene voglia di lavorare, siediti e aspetta che ti passi!”.
Questo naturalmente non può non solleticare l’intelletto di Siddharta a dare dei contributi.
I due passano dunque tempi “non orologiabili” a filosofare sul fatto che la vita a volte è spietatamente dura, carica di asperità ed eventi fuori-controllo che possono irrompere con la furia di un toro incazzato.
Considerano quanto possa dolorosamente incidere il fardello di sofferenza inevitabile, soffermandosi a lungo sul concetto buddista di dukha fino a che si viene a configurare, sostanzialmente scontata, la conclusione di Daddy.
Sembra quasi sprizzargli fuori giocosa dagli occhietti furbi o sgusciare birichina tra i suoi pochi denti dell’arcata superiore: “e vuoi pure lavorà?!”.
Di qui finiscono ad esaltare figure come quelle degli swami o dei samnyāsin, che si spostano da un ashram all’altro portandosi dietro la propria sadhana e poco più.
Sull’onda dell’entusiasmo, si ritrovano più volte a girovagare su autobus scarburati, di stravecchia lamiera rattoppata e stipati di indiani odorosi.
Fanno sosta in slarghi disastrati per sorseggiare, tra la polvere, chai da bicchierini monouso in plastica o terracotta o ingozzare bocconi di somoza o pakora avendo in dotazione appena le mani e piattini patetici di carta. Camminano poi lungamente sotto il sole, con le teste avvolte in foulards colorati. Raggiungono ashrams rintanati tra le colline dove meditano e mangiano su piatti di foglie accuratamente intrecciate.
Incontrano gli occhi serafici e vigorosi di anziani rinuncianti, si intrattengono senza tempo con loro, dividendo anche solo un denso silenzio per poi ritornare nell’assordante Varanasi e farsi strada tra la tanta, tanta umanità e animalità e la vecchia ferraglia a pedali e venditori di hashish nella complice oscurità […]

E’ giunto ora il momento di lasciare spazio a Daddy, quello “autentico”, Bhakti Binod ed alle sue riflessioni:

Un viaggio di ricerca non è altro che il susseguirsi dell’insieme dei pensieri che hanno attraversato ed attraversano lo spazio mentale. Pensieri legati alla conoscenza ed alle esperienze trattenuti nella memoria. Dio, la Vita con tutte le sue sensazioni, emozioni, piaceri e dolori, aspettative e accadimenti, cosa sono in realtà, se non tutto ciò che realmente non è? Quando penso a me come un “io“, un ego, quello che posso capire con certezza è che quel ”io” non è altro che un “ombra”. Tutto ciò che attraversa la mente non sono che idee e concetti con cui ci identifichiamo creando così la nostra individualità rafforzata dall’identificazione con l’aspetto fisico, individualità inconsistente come sono le basi su cui si fonda.
Normalmente noi non agiamo, ma reagiamo spinti dalle nostre paure inconsce verso gli avvenimenti ed ai fatti della vita, sia sociale che famigliare. La reazione è della personalità, cioè del nostro coinvolgimento con essa, osservando questo, piano, piano, attraverso l’esercizio dell’osservare incomincia la disidentificazione, (I padri del deserto solevano dire se vedi il demone questi si dissolve), ed è così che nasce il giusto atteggiamento verso tutti gli accadimenti che la Vita ci porta sia essi dolorosi o piacevoli, sia comunitari od eremitici, ci sono degli eremiti che litigano con l’altro eremita per un pezzo di legno ed altri che vivono in società conservando nel loro cuore un equilibrio immutabile quale è la differenza? La differenza è che uno ha delle aspettative e l’altro No. Dobbiamo debellare il demone della paura e nulla ci coinvolgerà più se non in modo apparente poiché il sapere che qualsiasi accadimento non potrà neanche avvicinarsi alla nostra vera natura e che in questa non c’è divisione con gli altri che hanno un corpo-mente differente dal nostro.
Prendiamo l’esempio di un campo di grano o di un vigneto, non c’è una spiga od un grappolo uguale all’altro eppure anche se l’aspetto è differente il contenuto, la sostanza l’essenza è la stessa. Nell’unità chiamata farina e vino non c’e più divisione. Così anche negli esseri composti dai cinque elementi la cui differenza di composizione li fa apparire diversi, quello che li unisce è quell’energia o forza di coesione che è unica per tutti.
E già il sapere profondamente questo ci porta verso una consapevolezza del legame con l’altro. Ma bisogna sapere che anche questa energia fa parte della personalità egoica ed anche da questa dobbiamo disidentificarci e solo così entreremo nello stato di assenza delle mancanze, cioè Unità e Completezza (JNANA), come nel sonno profondo, senza che ci sia un “io” che lo sappia. La differenza che sorge è che nel sonno profondo uno si addormenta ignorante e ritorna al risveglio fisicamente e mentalmente riposato, ma rimanendo nello stato di ignoranza. Ritornando dalla Completezza, si ritorna Saggi, la saggezza non è dovuta al ricordo dello stato Assoluto, ma dal ricordo di uno stato intermedio in cui si vive con gli attributi dello stato Assoluto, completamente Pacificati, è lo stato del Bhakti. Alcuni, non ne conosco le ragioni, rimangono anche se hanno un corpo nello stato Assoluto, cioè con una personalità apparente, come un foglio di un libro che seppure bruciato si può ancora leggerne lo scritto, altri rimangono nello stato descritto della bhakti, altri rientrano con la loro personalità nel Film della Vita, (non a caso uso questo termine), con la sola consolazione di sapere che non sono le reali personalità che appaiono. Per questi ultimi ci sono ancora piaceri e dolori, ma non ne vengono coinvolti se non momentaneamente, il loro stato è uno stato di costante contentezza interiore.
Nasce una creatura a cui si da un nome e quindi per questa inizia un viaggio in quella che chiameremo vita. Trova dei genitori ed una società che iniziano a dirgli ciò che è bene e ciò che è male, il bambino/a cresce iniziando ad avere le proprie esperienze di ciò che è piacevole e ciò che non gli piace. L’imposizione della società e dei genitori, convinti della bontà dei loro pensieri, gli impediscono di sentire il contatto che egli ha con l’Armonia Universale. Identificandosi con i pensieri, con le emozioni, con i sentimenti e soprattutto con i ricordi, nasce la personalità che varia nel corso del tempo perché variano le acquisizioni intellettive e le esperienze. In poche parole ci facciamo un’immagine della persona che siamo. Talvolta sentendo impulsi che non sono aderenti all’immagine che ci siamo fatta di noi, per paura delle conseguenze che ne potrebbero derivare o dalla mancanza di coraggio nell’affrontare le critiche della gente, entriamo in stati di frustrazione che non ci permettono di essere in pace né con noi stessi né con gli altri.
La nostra mente con l’immaginazione ed i ricordi piacevoli ci spinge verso il piacere cercando di allontanare tutto ciò che per noi è spiacevole e doloroso. Noi non conosciamo ciò che è realmente bene per noi e che ciò che ci serve veramente è talvolta molto doloroso, perché per il Nuovo bisogna abbandonare il vecchio a cui siamo abbarbicati con tutte le nostre forze. Mi riferisco a tutte le nostre abitudini, agli attaccamenti materiali ma anche e soprattutto all’idee mentali. La mente, anzi i pensieri con cui ci identifichiamo e su cui basiamo le nostre indiscusse sicurezze, la paura di perdere ciò che crediamo di essere, la paura dell’infelicità e l’illusione di poter raggiungere un piacere che possa essere duraturo, ci impediscono di pensare che potremmo non essere questo corpo-mente nel quale ci identifichiamo e quindi ci sfugge la spinta ad indagare chi siamo e quale sia la nostra vera natura. L’insieme delle esperienze passate incamerate nella memoria, i desideri proiettati con l’immaginazione nel futuro sono il guinzaglio a cui siamo legati che ci fanno agire pensando che siamo noi a volerlo e talvolta, l’agire si impone, anche se non vogliamo.
San Paolo dice: “Non faccio il bene che vorrei e faccio il male che non vorrei”. Arjuna nella Bhagavad Gita chiede: ”O Krishna, cos’è che spinge l’uomo a commettere peccato, anche contro la sua volontà, come se vi fosse costretto per forza?” Il Signore Krishna risponde: “E’ il desiderio che è il grande nemico”.
Quindi con la mente, proiettata all’esterno, ci siamo identificati con la falsa personalità, inesistente ed illusoria finendo per credere che l’irreale sia il Reale. Certamente non è facile, volgere la mente all’interno, infatti sempre nella Bhagavad Gita Arjuna dice: “perché la mente è irrequieta, o Krishna; è impetuosa, forte e difficile da piegare. Ritengo che sia impossibile controllarla, che sia come voler controllare il vento”. Il Signore Krishna gli risponde: ”Senza dubbio, o eroe dal possente braccio, la mente è difficile da controllare ed è irrequieta ma non è impossibile; può essere controllata (rivolta all’interno) dall’esercizio costante e con la pratica del distacco”.
Penso che un po’ di riflessione su quello che è paragonata la mente ci aiuterà senz’altro a non scoraggiarci ed a perseverare fino a che la mente rientri in se stessa.
Vivekananda (monaco Indiano), paragona la mente umana ad una scimmia infuriata, che viene ubriacata, (la scimmia anche se sobria è irrequieta per natura), in più la scimmia viene punta da uno scorpione che la rende ancora più agitata, ed alla fine viene posseduta da un demone. La mente per sua natura genera un’incessante attività, il desiderio dei piaceri la inebriano, la gelosia la punge e il demone dell’orgoglio la insuperbisce. Ancora della mente in India si dice:

“Potresti controllare un elefante impazzito,
potresti chiudere la bocca all’orso ed alla tigre,
potresti cavalcare il leone,
potresti giocare con il cobra,
potresti renderti invisibile,
potresti farti servire dagli dei,
potresti rimanere sempre giovane,
potresti camminare nell’acqua e nel fuoco,
ma controllare la mente è meglio e più difficile”.


Da quanto detto sembra un compito veramente arduo, ma non ci rimane altro che rimboccarci le maniche se vogliamo ritornare alla Sorgente. Osservando la “scimmia” e non alimentandola più, prima o poi si dovrà per forza di cose tranquillizzare.
A questo proposito penso che le parole, di Ramakrishna Paramahansa, possano aiutarci: ”I pensieri sono come gli uccelli, non puoi evitare che passino sopra di te, ma puoi evitare che facciano il loro nido sulla tua testa.”
Un altro aiuto ci può venire dal racconto, che il Divino Maestro Dattatreya dà al suo discepolo Parasurama. E’ un racconto tratto da un Sacro testo chiamato Tripura Rahasya e nel testo la regina Hemalekha, (anima o coscienza individuale, chiamata Jiva), racconta, simbolicamente la storia della sua vita per trasmettere la sua saggezza a suo marito, il principe:
Principe ascolta questa mia vecchia storia. Molto tempo fa mia madre, (la pura coscienza), mi trovò un’amica, Buddhi (intelletto), di natura buona (cioè virtuosa), con cui giocare. Ma questa amica, senza che mia madre lo sapesse, conobbe e divenne amica di una donna scellerata il cui nome era Avidya, (ignoranza), capace di creare e manifestare un suo proprio mondo. La sua vita era piena di cose false. Anch’io per amore della mia cara amica, che non lasciavo neppure per un istante perché mi era cara più della mia stessa vita, mi associai ad Avidya (ignoranza). In seguito questa donna, segretamente, (cioè senza che mia Madre lo sapesse), avvicinò la mia amica a suo figlio Moha, (attaccamento), il quale era totalmente insensato; essendo alcolizzato era sempre eccitato ed instabile. Lui iniziò a possederla, a dispetto della sua volontà, anche in mia presenza. La mia amica cosi soggiogata divenne, giorno dopo giorno, sempre più miserabile. Ma, a dispetto di tutto, la mia amica non mi lasciò mai, così neanche io l’abbandonai. Dopo qualche tempo dall’unione nacque un figlio, Asthira (mente instabile), identico al padre stolto.
[1) Anche quando sopraffatto dall’illusione tutte le funzioni dell’intelletto continuano ad essere illuminate dalla Luce della coscienza individuale o Anima.
2) A causa dell’identificazione dell’intelletto, l’anima si considera afferrata dall’inganno e dalla delusione.
3) L’intelletto sopraffatto dall’illusione partorisce il figlio “ la mente”. La somiglianza o l’identicità, riferita al padre, si riferisce alla falsità della sua natura.]


Il figlio crebbe rapidamente divenendo un giovane il cui stato era estremamente scostante e capriccioso. Aveva la stoltezza del padre (Moha) e la creatività data dall’ignoranza della nonna, Avidya.
[la mente, figlio della delusione, è sciocca. La sua abilità, come la nonna ignoranza, è di provocare false percezioni e creazioni].


Asthira, (mente instabile), era molto abile nel fare strane creazioni, molto furbo, istruito dalla nonna paterna Avidya, (ignoranza) e dal padre Moha, (attaccamento), raggiunse senza ostacoli e velocemente la completa abilità in ogni tipo di attività.
[La nonna Avida (ignoranza) è chiamata anche Sunya (vuoto) poiché l’ignoranza non ha nessuna sostanza di realtà alla luce della coscienza].
Così la mia amica, Buddhi, (intelletto), pur essendo pura e virtuosa dalla nascita, a causa dell’associazione con quella donna perversa, cadde in uno stato di falsità e miseria.
[l’intelletto, sebbene consista di Sattva Guna (o purezza), a causa della sua associazione con avidya (o ignoranza) viene modificato da Rajoguna (o passione) e da Tamoguna (o inerzia)].

La mia amica Buddhi (intelletto), a causa della lunga associazione con la sua amica Avidya (ignoranza), dell’unione con il suo amante, Moha, (attaccamento) e l’affetto verso suo figlio Asthira (mente instabile), gradualmente dimenticò il suo affetto nei miei riguardi. Io, sincera e semplice per natura non potei abbandonarla, ero con lei in ogni circostanza.
[la Coscienza individualizzata (o Jiva), identificandosi con l’intelletto considera le funzioni di quest’ultimo come proprie]

In seguito, lo sciocco amante, Moha, (attaccamento), che sempre approfittava di lei per puro piacere, cercò forzatamente di possedermi, ma, essendo io pura per natura, in realtà, egli non potè sopraffarmi.
[La coscienza individualizzata (o Jiva) è intangibile dalla delusione anche se associata con essa o ha le sembianze dell’intelletto].

La gente, che non conosceva come stessero le cose, pensò che anch’io mi fossi unita allo sciocco Moha, (attaccamento). La mia amica mi affidò suo figlio Asthira, (mente instabile), in quanto lei, in balia del suo amante dedicava tutto il tempo alle effusioni amorose con lui.
Asthira (mente instabile) fu nutrito e allevato da me con grande affetto, fin quando, spinto dalla nonna paterna, Avidya (ignoranza), intrecciò una relazione con Kalpana, (immaginazione), una donna adulta.
Kalpana, (immaginazione), aveva la capacità di assumere, all’istante, qualsiasi forma piacevole e affascinante che il suo innamorato gli chiedesse. Così lei che era estremamente furba, portò con la sua abilità, l’amante sotto il suo completo controllo.
Ogni volta che Asthira voleva andare in qualche luogo, Kalpana, (immaginazione), era sempre pronta ad accompagnarlo e a compiacerlo assumendo le forme più attraenti e piacevoli per lui. Così, dall’unione di Kalpana e Asthira, nacquero cinque figli, molto legati ai loro genitori. Ognuno di loro era esperto nella propria attitudine. La mia amica mi affidò i suoi figli che furono allevati da me.
[i cinque figli sono i cinque organi dei sensi cioè l’udito, il tatto, l’olfatto, la vista e l’odorato. La Mente e l’immaginazione sviluppano i sensi della percezione, per questo diciamo che i figli sono legati ai genitori. Essi sono affidati all’Anima (o coscienza individualizzata) fin quando in seguito si identifica, nella vita del mondo, con la percezione sensitiva].

Essendo devota alla mia amica, li allevai con molta cura e crebbero forti. In seguito i cinque figli di Kalpana (immaginazione), si costruirono ciascuno una eccellente e meravigliosa casa. Incoraggiati dalla madre, portarono il padre sotto il loro controllo.
[le case rappresentano gli organi esterni della percezione: le orecchie, la pelle, gli occhi, la lingua ed il naso].

Il figlio più grande invitò il padre Asthira nella sua casa e mettendolo a suo agio gli fece ascoltare magnifica musica e suoni sempre più affascinanti quali il ronzio dell’ape, il suono delle campane, la recita di inni etc… Quando il figlio si accorse che il padre era sotto il suo potere gli fece ascoltare suoni terrificanti come il ruggito di bestie feroci le grida di dolore delle persone e l’urlare della gente terrorizzata.
Il secondo figlio lo invitò nel suo palazzo dove, felicemente compiaciuto, trovò lussuosi e morbidi letti, morbidi divani e lussuosi vestiti. Dopo un po’ ebbe esperienza di altre sensazioni quali il duro, caldo e freddo e quindi era contento per ciò che era piacevole e scontento per quello che era sgradevole.
Andò nella casa del terzo figlio, dove vide diversi oggetti con diversi colori, bianco, giallo, verde, marrone ecc. oggetti dalle forme piccole e grandi, belli e brutti, spaventosi e triviali, radianti o spenti.
Il quarto figlio lo portò nella sua dimora, dove trovò tutti i tipi di frutti dal sapore dolce come il nettare; poté gustare tutti i tipi di bevande dolci ed agri, gustò cibi prelibati e delicati, ma anche amari e disgustosi.
L’ultimo figlio lo portò nella sua abitazione dove era intrattenuto dalla fragranza di molte erbe ed fiori, odori alcuni piacevoli e delicati, altri forti e nauseanti.
Asthira (mente instabile), poteva andare, ogni qualvolta lo volesse, a casa dei figli, in quanto questi gli erano molto devoti, e avere le esperienze sia piacevoli che penose che potevano essere fatte nelle loro dimore. I figli a causa dell’affetto verso il padre, non toccavano niente se non in sua presenza. Ma essendo lui sempre insoddisfatto incominciò a rubare alcune cose dalle loro case, portandole nella sua dimora, per poi condividerle con sua moglie.
[la dimora di Asthira o mente instabile è il cuore interiore di una persona dove ha origine il pensiero. Là, la mente si diletta con gli oggetti attraverso la memoria].

Poi, Asthira, (mente Instabile), venne sedotto dalla sorella della moglie Kalpana, (immaginazione), così sposò anche lei. Quest’ultima, il cui nome era Mahasana, (voracità), era perennemente insoddisfatta ed insaziabile e Asthira, che era molto attaccato a lei, per compiacerla, era sempre affaccendato insieme ai cinque figli a procuragli le cose che lei consumava in un batter d’occhio.
[la sorella è Mahasana o Desiderio sempre insaziabile, avido e vorace]
Dall’unione nacquero due figli, Jivalamukha, (Grande fuoco), il più grande e Nindyavrtta, (Cattivo temperamento), l’altro, entrambi molto attaccati alla madre.
[Jvalamukha è Krodha (rabbia); Nindyavrtta è Lobha (Avidità).]

Quando Asthira, (mente instabile), abbracciava la nuova moglie Mahasana, (Voracità), sentiva l’intero suo corpo avviluppato dalle fiamme di Jvalamukha, (Grande fuoco) e estremamente afflitto sveniva. Quando si associava all’altro figlio, Nindyavrtta, (cattivo temperamento), veniva criticato da tutti e lui si sentiva depresso e più cattivo. Quindi le sue condizioni erano miserevoli. Passava da una sofferenza ad un’altra.
La mia amica a causa del grande affetto verso suo figlio Asthira ed essendo associata a lui, era sopraffatta dal fardello di preoccupazioni che gli sorgeva dal dolore del vedere il figlio tanto infelice. Associata con Nindyavrtta, (cattivo temperamento), e anche abbracciata da suo nipote Jvalamukha, (grande fuoco), veniva tormentata e diffamata dalle persone e divenne come morta. Caro! Anch’io, che non la lasciavo mai la mia amica, divenni quasi persa.
[quando le limitazioni dell’intelletto nella forma di rabbia e avidità gettano la loro ombra, la natura consapevole dell’anima non risplende e quindi sembra essere persa.]

Così, per molti anni, fui angosciata a causa del dolore della mia amica Buddhi. Asthira, sempre più dipendente da Mahasana, (voracità), venne completamente soggiogato da lei.
A causa del Karma, raggiunse un luogo dove c’era una città con dieci cancelli. Là visse con Mahasana, con i suoi figli, con sua madre e con altri, desiderando felicità, cercando il piacere, ma trovò solo miseria e dolore, giorno e notte. Bruciato da uno dei figli e tormentato e diffamato dall’altro, giorno dopo giorno, tutto il tempo sbattuto qua e là, dalle sue due mogli, cercò di trovare un po’ di quiete nelle dimore dei suoi cinque figli ma provò solo delusione e sconforto, senza ottenere un solo istante di felicità. La mia amica pur essendo estremamente angosciata per le condizioni del figlio, rimaneva a vivere là.
Mahasana, (voracità), con i figli, Jvalamukha e Nindyavrtta e aiutata dalla co-moglie Kalpana, (immaginazione), portò Asthira, suo marito, completamente sotto il suo controllo.
Caro! Sebbene fossi quasi moribonda a causa del dolore della mia amica anch’io, rimasi lì altrimenti se li avessi abbandonati un solo istante, nessuno di loro sarebbe potuto restare in città poiché ogni cosa era da me protetta. A causa dell’associazione con i miei amici divenni della stessa loro forma. Così mi sentii vuota a causa di Avidya, sciocca a causa di Moha, instabile a causa di Asthira, mutevole con Kalpana, infuocata a causa di Jvalamukha e Nindyavrtta. Ma se li avessi lasciati sarebbero periti istantaneamente.
[E’ dalla presenza dell’anima o coscienza individualizzata che tutte le entità si muovono ed hanno sostegno, e a turno loro nascondono la reale natura dell’anima.]

A causa della loro compagnia la gente comune mi considerava adultera, ma le persone con acuta discriminazione sapevano che ero immacolata.
Mia Madre, molto pura e casta è più vasta del cielo e più sottile dell’atomo. Sebbene sia Conoscenza, non conosce niente, sebbene faccia tutto è immobile, sebbene sia il substrato di tutto Essa non ha supporto; sebbene sostenga ogni forma Lei è senza forma.
[tutte le cose appaiono perché illuminate dalla pura coscienza, così Lei è il supporto di tutto. Ma niente (nessuna cosa o essere) a parte Lei esiste in Lei].


Sebbene sia associata ad ogni cosa Essa rimane inalterata; sebbene splenda dappertutto, non è vista né conosciuta da nessuno in nessun luogo. Sebbene sia Beatitudine, ne è priva (priva perché, separatamente da Lei, non c’è chi possa beneficarne). Non ha padre né madre, ma innumerevoli, come le onde del mare, sono le sue figlie come me. Principe! E come me, le mie sorelle, condividono la stessa mia sorte.
Io sono in possesso del grande Mantra. Quindi sebbene devota e associata a questo gruppo di amici, io rimango sempre pura uguale a mia Madre, nella mia Reale natura.
Quando il figlio della mia amica, Asthira è completamente stanco in questa città, si addormenta in grembo alla madre. Quando Asthira dorme, anche i suoi figli e tutti gli altri si addormentano. Nessuno rimane sveglio. Per tutto il tempo in cui tutti dormono, l’amico fedele di Asthira, il cui nome è Pracara, muovendosi ripetutamente tra i due cancelli, protegge tutta la città.
[Pracara (energia vitale) è il Prana. I due cancelli sono le narici.]

La mia amica Buddhi, (intelletto), suo figlio Asthira, (mente instabile), e la sua amica Avidya, (ignoranza), che era una cattiva donna, proteggevano i dormienti. Quando loro tutti dormivano io raggiungevo mia Madre rimanendo felicemente abbracciata da Lei per lungo tempo. Ma ogni giorno al risveglio dei dormienti ero obbligata a ritornare nella città.
[durante il sonno profondo la coscienza individualizzata (Jiva) è assorbita nella pura indivisa coscienza, sebbene tale assorbimento venga velato dall’ignoranza.]


Pracara, (l’energia vitale), l’amico di Asthira, (mente instabile), che ha grande potere, nutre tutti e tutti i giorni, cominciando da Asthira. Egli è colui che, pervadendo l’intera città ed i suoi abitanti, tenendoli uniti, come il filo di una collana tiene unite le perle una alle altre, nutrito da me, li protegge e li mantiene in vita. Pracara è il legame tra me e gli altri. Animato da me controlla tutte le attività nella città.
[La mente ed i sensi hanno coscienza solo attraverso l’energia vitale di cui la grossolana manifestazione è il respiro.]

Quando la città è logorata, Pracara li conduce tutti immediatamente in un'altra città. Così sostenuto da Pracara, (energia vitale), Asthira (mente instabile), governò, nel corso del tempo su molte e strane città. Asthira, sebbene figlio di una brava e virtuosa donna, sebbene potesse fare ricorso al grande potere del suo amico Pracara e sebbene fosse sempre teneramente curato da me, era sempre tormentato e addolorato, soffriva tremendamente.
A causa delle sue due mogli, Kalpana e Mahasana, dei suoi due figli Jvalamukha e Nindyavrtta e anche degli altri cinque figli, Asthira era sbattuto da ogni parte. Con il cuore spezzato dalla grande angoscia, privato dalla benché minima felicità, veniva spintonato qui e là dai suoi cinque figli.
Talvolta disturbato da Kalpana, (immaginazione), si sentiva addolorato. A causa di Mahasana, (voracità), vagava in cerca di cibo (piaceri). Sopraffatto da Jvalamukha, tormentato da capo a piedi cadeva svenuto senza conoscere rimedio. Stando con Nindyavrtta, veniva disprezzato e ingiuriato dagli altri, sopraffatto dal dolore era come morto.
Accompagnato dalle sue cattive mogli e figli, sempre condotto da loro, Asthira visse in varie e strane città. Qualche volta visse in terre affollate, qualche volta in vaste foreste mangiando radici, qualche volta in posti caldissimi, altre volte in posti freddi e gelati; o in posti putridi o in buie grotte. Così, quando il figlio, Asthira era afflitto da grande dolore, la mia amica veniva completamente sopraffatta dal dolore che gli derivava sempre dalla cattiva associazione con queste persone.
Caro! Sebbene io fossi pura e buona di natura, essendo associata alla sua famiglia, ne rimasi coinvolta.
Chi potrebbe invero sperare di ottenere anche un briciolo di felicità in cattiva compagnia? Sarebbe come cercare di voler estinguere la sete andando in un deserto. Dopo lungo tempo passato in queste condizioni, la mia amica Buddhi (intelletto), avvilita e sconcertata senza essere vista da nessuno, (cioè senza la percezione dei sensi), si avvicinò a me. Consigliata da me, si unì con un buon marito, conquistò suo figlio, e dopo aver ucciso e imprigionato gli altri suoi figli, unitasi a me, giunse velocemente nella città di mia Madre.
[Consigliata da me = Vairagya (libertà dagli attaccamenti = distacco).]
[Buon marito = viveka (discriminazione)].
[Figlio conquistato = la mente.]
[I figli uccisi = Krodha (Rabbia) e Lobha (avidità)].
[I cinque figli imprigionati = i cinque sensi.]
[Unita a me indica : l’osservare come pura autocoscienza libera da pensiero].
[la città di mia Madre è il Cuore, l’Ultima Realtà.]

Abbracciando sempre più mia Madre, essa divenne libera e fu subito sommersa da un oceano di beatitudine, il suo stato normale. (Completa unione con la Pura Coscienza Individualizzata).
Signore! Ottieni così anche tu la felicità eterna, allontanandoti dalla cattiva condotta a causa dei cattivi amici e raggiungi Tua Madre. Signore! Ti ho narrato come si può conseguire Questa Beatitudine in cui io dimoro.