TRANSUMANZA

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domenica 27 settembre 2009

Frammenti di estremo Occidente: Specialmente pazzi per questo posto.

A margine di molte "storie d'Oriente", presentazioni ed approfondimenti riguardo "comunità intenzionali ed ecovillaggi", credo sia giunto il momento di tirare una sana boccata di ossigeno estremo-occidentale, per parafrasare Tiziano Terzani. Di seguito un articolo di Roger Rosenblatt su New York, sullo sfondo del tragico 11 settembre.
L'articolo è stato tradotto dall'amico di lunga data Flavio Rizzo, negli States da quasi un decennio dove ha insegnato, per un nutrito periodo, letteratura comparata in un'università della Grande Mela. Oggi vive buona parte del tempo in Vermont, in una fattoria da cui mi giungono nuove di una crescente familiarità con le patate ed altri ortaggi. Grande viaggiatore, abbiamo avuto modo di condividere le rispettive disavventure con due diversi generi di ameba, l'una, indiana, ospite del mio intestino per circa 9 mesi (mi ci ero affezionato come ad un animale domestico), l'altra, contratta da Flavio in Bolivia, lo stava proiettando nella dimensione di una irreversivbile OBE (Out of Body Experience) in virtù di una fulminea disidratazione.
Eluso, momentaneamente, il grande passo, Flavio e la compagna Veruska hanno collaborato, come traduttori, alla pubblicazione del testo di Jack Hirschman In danger, un'antologia di scritti di Pier Paolo Pasolini, per la famosa City Lights Books.
L'articolo:


Un barbone che conoscevo come Charlie, che era solo un po' più pazzo di noi,decise alcuni anni fa di mettere su un salotto sul marciapiede
fuori della chiesa sulla 86esima e Amsterdam. Aveva scovato un divano
sfondato, un paio di tavolinetti, una poltrona pieghevole bloccata
nella posizione reclinata, un vecchio tappeto che probabilmente era
arancione negli anni 60 e una lampada con il filo della corrente
elettrica attaccato al niente. Era un posto carino e visto che
conoscievo Charlie perché era uno del quartiere, mi sono seduto nel
suo salotto a cielo aperto per parlare. Dopo un pò era chiaro che lo
stavo annoiando. 'bene Roger' mi disse attraverso i quattro denti che
gli rimanevano 'ho apprezzato la nostra conversazione ma aspetto
ospiti'.

Lasciateci innalzare le città famose ma non per le ragioni sbagliate.
Dopo l'11 settembre, molti eleganti uomini di potere dal sindaco in
giù hanno venduto questa città ai turisti come un posto caldo ed
accogliente, forte del sogno. New York é alcune di queste cose,
qualchevolta, ma questo non é il motivo perché milioni di persone sono
grate a questa città. La ragione perché l'amiamo così tanto é perché
é difficile vivere qui. Venite a visitare New York e osservate la
strana grazia nata da una vita difficile e pazza. Accogliente? La
prima notte che i miei nonni sono arrivati a St Mark place da Ellis
Island sono stati derubati di ogni piccola cosa. I giovani che vengono
a vivere a New York oggi sono accolti con appartamenti impagabili e
lavori introvabili. Vengono, né più né meno, perché che loro lo
sappiano o no cercano guai, guai della peggior specie. Quando li
superano con successo cambiano e diventano newyorkesi.

Questo é un posto elastico, ma questo lo sapevamo anche prima dell'11
settembre. Ci vuole un coraggio folle a vivere qui. La gente dice che
la città é un microcosmo delle ambizioni del Paese, che New York é
l'America. Non ci credo. Non ho mai visto nessun posto in America
nemmeno lontanamente vicino a quello che é New york City. Quello che
rende la città differente é una sorta di 'selvaticità civilizzata'
nata dalla compressione. Nel profondo dei loro cuori i newyorkesi
vivono in maniera confortevole con la loro irrazionalità da thriller,
forse perché la città in se é così incredibile da crederla reale. In
momenti meno drammatici, lo stile di vita di New York mischia
difficoltà e pazienza (coperta da una patina di irritabilità) per
produrre una resistenza unica. I divertenti spot pubblicitari con le
superstar ora ci dicono di una città di sognatori. Ma la maggior parte
dei newyorkesi non sono ossessionati dai sogni. Il sogno é di viverci
in questa città, il sogno era di arrivarci a New York. La maggior
parte di noi sono più che contenti di arrivare a casa ogni sera.

'Quanto un newyorkese può sopportare ancora?' é stata la domanda
sentita il giorno dopo lo schianto dell'aereo in Queens. L'intero
processo si sopportare costituisce la metà di quello che é la città.
L'altra metà consiste in quello che può offrire al resto del mondo.
New york é la capitale del mondo non per la sua ricchezza e la sua
influenza, ma perché vive la verità universale non detta che la vita é
dura, e sapere questo che fa diventare piccole vittorie grandi
trionfi. La bellezza creata in tutte queste follie e difficoltà é
strana ma autentica. Ne siamo particolarmente grati quest'anno quando
la bellezza della città é stata danneggiata in maniera così dolorosa.

Nel tardo pomeriggio d'autunno, quando il sole freddo si dissolve da
qualche parte in New Jersey, le luci della grande città si accendono e
tutto sembra piccolo e pieno e dolce. E' un illusione, é vero, ma a
volte dura tutta la notte.

lunedì 21 settembre 2009

Tutti verso la dea Yelamma.

WORKSHOP FOTOGRAFICO DI STREET LIFE
DIRETTO DA SHOBHA


Capodanno in India, dal 29 Dicembre 2009 al 5 Gennaio 2010

Il workshop è finalizzato allo sviluppo e alla realizzazione di un progetto di reportage sulla città di Saundatti - nella parte meridionale dello stato del Karnataka - nei giorni di luna piena dedicati alla celebrazione della dea Yellamma.
Per tre giorni, l'antica città-roccaforte di Saundatti diventa meta di migliaia di fedeli che giungono in pellegrinaggio-yatra da tutta l'India, per venerare la “madre di tutti”. Quest'anno l'ultima luna piena del 2009 cade il 31 Dicembre.
Un' occasione unica d'essere testimoni di un culto ancestrale dai toni vibranti come il ritmo dei tamburi e delle danze dei rotanti dervishi, vivace nelle tinte multicolori delle spezie e dei sari iridati delle donne. Un evento che in un paese dove tutto è mito e simbolo, sotto la polvere ocra del tamarindo - pianta della purificazione - fonde insieme spiritualità devozione e superstizione.
Ogni fotografo nella strada per arrivare al tempio-mandir potrà perdersi e ispirarsi tra la folla di pellegrini, nel dedalo di botteghe di stoffe, pietre, accessori etc... e banchi di spezie che con i loro aromi inebriano l'aria insieme all'intenso odore delle offerte dei fiori che ciascun devoto lascerà alla dea.
Lo spazio di lavoro, al di fuori delle tre giornate di trasferta a Saundatti, sarà una grande casa portoghese con giardino a Candolim, nello stato di Goa: a due passi dal mare e sotto una foresta di palme, luogo ritirato e ideale per concentrarsi, vicino a tutto ciò che serve.
Saundatti dista circa 7 ore di macchina da Candolim.
Il corso è rivolto a coloro che hanno già una buona preparazione fotografica.
I partecipanti verranno seguiti in tutte le fasi di preparazione e messa in atto di un reportage.
Da una primo sopralluogo di Saundatti ciascun corsista dovrà strutturare il proprio progetto ed esercitarsi nella capacità di sintesi necessaria alla presentazione del reportage come solitamente avviene davanti un commissionato giornalistico.
Ciascun fotografo sarà indipendente durante le uscite fotografiche.
Incontri di gruppo giornalieri permetteranno a ciascuno di essere seguito da Shobha e di confrontare il proprio lavoro con quello degli altri.
La seconda parte del corso, con la supervisione quotidiana di Shobha, sarà dedicata all'editing, alla messa in atto della sequenza del materiale raccolto, alla redazione di un commento scritto – didascalia o diario di viaggio - ed alla presentazione finale del servizio.

Note biografiche SHOBHA:
Shobha, fotografa palermitana, figlia di Letizia Battaglia, inizia a fotografare nel 1980 per il quotidiano di Palermo “L’Ora”. Le sue immagini ritraggono da sempre temi sociali e internazionali, con un’attenzione particolare verso il mondo femminile.
- 1998 vince il World Press Photo con “Gli Ultimi Gattopardi”, un lavoro sulla nobiltà siciliana.
- 2001 riceve il prestigioso riconoscimento Hansel Mieth Preis, con il reportage “Chiesa e Mafia”, insieme
alla giornalista Petra Reski. Nel 2001 vince nuovamente il World Press Photo con il reportage sulla moda
africana della stilista Oumou-Sy.
Da diversi anni viaggia in giro per il mondo realizzando servizi per grandi testate come GEO, PARK AVENUE, SUNDAY TIMES, DIE ZEIT, VANITY FAIR, IO DONNA, VENERDÌ DI REPUBBLICA, L’ESPRESSO…
- 2005 realizza un progetto sui minori autistici, documentando la loro vita quotidiana, dal quale nasce
“Coriandoli d’Amore”, una pubblicazione edita ADA Comunicazioni.
- 2006/07, per conto dell’associazione “Famiglie Down di Palermo”, organizza e conduce un workshop di
fotografia con un gruppo di ragazzi down e una Mostra “Disability”;
- 2006 espone a Corigliano Calabro insieme alla madre Letizia Battaglia, la mostra dal titolo:“La violenza, il dolore”.
- 2007 Museo Diffuso della Resistenza di Torino “Il dolore”, un’installazione video sulle donne vittime della violenza ed in particolare mafiosa, progetto realizzato con le musiche di Giovanni Sollima.
- 2008, la mostra inaugura un ciclo di esposizioni presso la Casa museo Antonino Uccello a Palazzolo Acreide.
- 2007 è protagonista del cortometraggio “Vulcano”, regia di Francesco Patierno, video in cui Shobha
racconta l’isola attraverso le sue fotografie.
- 2008 è invitata a partecipare, al “Festival des Tops”, in Cina, con il lavoro sulla mafia e sull’aristocrazia.
- 2009 Amsterdam, Galleria METIS “Rabbia e Silenzio”, una mostra di Shobha e Letizia Battaglia.
Attualmente vive tra Palermo e l’India, dove continua a seguire progetti di reportage e lavori artistici.
Nel 2007 ha aperto la scuola di fotografia itinerante “Mother India Photography”.

E’ rappresentata dall’agenzia Contrasto (www.contrasto.it).
Il sito di riferimento per Shobha è: www.motherindiaschool.com

Per informazioni e prenotazioni:
shobha@libero.it o visitare il sito www.motherindiaschool.com

sabato 19 settembre 2009

Riflessioni per il giorno della luna nuova: sabato 19 settembre 2009.

Eccoci al nostro ormai consueto appuntamento con alcune riflessioni, ispirate dal Dhammapada, dal monastero buddhista theravada Santacittarama, in provincia di Rieti, un buon riferimento per "i girovaghi del viverealtrimenti"
LUNA NUOVA --- sabato 19 settembre 09 --- da Ajahn Munindo
Per vite innumerevoli ho vagato
cercando invano
il costruttore della casa
della mia sofferenza.
Ma ora ti ho trovato, costruttore
di nulla da oggi in poi.
Le tue assi sono state rimosse
e spezzata la trave di colmo.
Il desiderio è tutto spento;
il mio cuore, unito all'increato.

Dhammapada strofe 153-154

La realizzazione finale e completa del Buddha fu di scoprire che aveva
creduto in qualcosa che non era vero. Era stato ingannato da quello
che lui chiama il costruttore della casa. Le case sono le strutture
della mente; il ‘me’ e il ‘mio’ che noi prendiamo tanto sul serio.
“Sono io che desidero”, “Sono io che mi sento deluso”, “È il mio stato
d’animo, il mio corpo, la mia mente”. Il Buddha capì con chiarezza
come tutte queste impressioni erano state fabbricate dall’abitudine
all’attaccamento. Avendolo penetrato con profonda saggezza intuitiva,
il processo venne compreso; il sostegno principale della casa, la
trave di colmo, fu spezzata e la sofferenza ebbe fine. Era finito il
vagabondare nella speranza di una soluzione alle sue lotte. Da quel
momento in poi, avrebbe dimorato sereno nello stato che precede ogni
sorgere e cessare; la realtà increata, senza morte.

Con Metta,

Bhikkhu Munindo

(Ringraziamenti a Chandra per la traduzione)

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Santacittarama
Monastero Buddhista
02030 Frasso Sabino (RI) Italy

Tel: (+39) 0765 872 186 (7:30-10:30, tutti i giorni eccetto lunedì)
Fax: (+39) 06 233 238 629

sangha@santacittarama.org
(alternativa): santa_news@libero.it

www.santacittarama.org
www.forestsangha.org (portal to wider community of monasteries)
www.fsnewsletter (newsletter in English)
www.dhammatalks.org.uk (audio files)

venerdì 18 settembre 2009

Bal Ashram: Newsletter settembre 2009.

Di seguito, la newsletter settembrina del Bal Ashram di Varanasi con cui, è bene ripeterlo, Viverealtrimenti ha una sorta di "gemellaggio".
Per chiunque fosse nuovo all'argomento si consiglia di utilizzare i link ipertestuali per avere maggiori informazioni sul Bal Ashram e poter leggere altre newsletters.


Varanasi, Settembre 2009
Cari amici,
finalmente a fine periodo monsonico le piogge sembrano arrivate. Infatti da tre giorni piove quotidianamente; ahimè danni ai raccolti sono già conclamati ma l'arrivo della pioggia ed il visibile alzarsi della Ganga rincuora e rallegra tutti.
Come l'anno scorso non possiamo non accennare a quali amici siano tornati a trovarci: e' scomparsa la scarpiera utilizzata come casa ma sono aumentati i cespugli sotto i quali i vispi rospi possono ripararsi dal sole durante il giorno.
Per settimane chiunque camminasse nel giardino dell'ashram poteva pensare di trovarsi in un libro di fiabe tante erano le farfalle danzanti nel cielo ed intorno ai fiori.
Sul tetto si incontrano libellule in amore e perfino nuovi arrivati come lo strabiliante insetto foglia!
Sempre mirabolanti sono invece le perfette posizione yogiche mantenute per ore dalle lucertolone sulle piante da vaso della veranda.
L'ashram nel mese di Agosto ha stilato un variegato programma di sensibilizzazione che durerà per tutto il mese di settembre sui temi dell'ambiente ed in particolare inquinamento e spreco dell'acqua, taglio degli alberi e delle poche zone verdi rimaste, inquinamento atmosferico, riduzione dei consumi di plastica vista la mancanza di strutture previste al riciclo ed allo smaltimento.

Il primo di questi appuntamenti è stata una camminata nel cuore della città in compagnia di studenti di altre scuole veicolando semplici messaggi su pannelli colorati.
Pochi giorni prima i bambini del Bal Ashram hanno dedicato le loro ore di seva alla pulizia delle scalinate, appena fuori dall'Ashram, che portano alla Ganga.

Tutto il gruppo era impegnato a raccogliere la plastica e ripulire il ghat mentre Bharat
sorridente mostrava ai presenti l'invito scritto a non gettare plastica nel fiume! Del resto, ogni giorno i ragazzi più grandi vanno a nuotare prima del tramonto e non perdono occasione per ricordare a chi scende al fiume di non lasciare plastica.
Quest'anno con il fiume in secca, molta della plastica accumulatasi nel tempo si è depositata sulle rive.
Quotidianamente tutti gli animali domestici (capre, mucche, cani, maiali) in cerca di cibo inghiottono enormi quantità di plastica non riuscendo ad aprire i sacchetti.

A questo proposito Andrea e Lisa, due biologi reggiani che hanno partecipato con tanta dedizione e passione alla routine dell'ashram, hanno organizzato delle lezioni di biologia per i bambini del Bal Ashram e lavorato ad una presentazione sull'inquinamento dell'acqua sia nell'Anjali school che nella scuola del progetto Alice a Sarnath.
Alla fine di agosto si è tenuto, all'ashram, un convegno inter-religioso dove sono intervenuti esponenti di diverse tradizioni (jaina, sikh, hindu, musulmani, cristiani, buddisti) per parlare e condividere il proprio sentire riguardo la natura e l'interazione uomo-natura.
A completare questo mese dedicato all'ambiente c’è stata una consegna porta a porta in diverse aree della città di una piantina di tulsi. Il tulsi, il basilico sacro, è una pianta dalle proprietà medicinali e ricca di una profonda simbologia religiosa. Più di un mese fa ne sono stati piantati nel giardino dell'Anjali
school 5.000 semi e dunque, al momento dell’iniziativa, le piantine erano pronte per essere trapiantate in piccoli vasetti di terracotta. Così, con l'aiuto di studenti universitari, sono stati consegnati a diverse famiglie con un messaggio ed un invito a piantare e prendersi cura di una pianta o di un albero.
Torneremo a scrivervi prestissimo, per raccontarvi dei progressi nella scuola e delle belle iniziative proposte dai volontari che sono stati qui con noi dal mese di Giugno.
A presto

Camilla e Lorenzo
Bal Ashram – Varanasi – India

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Un ecopark educativo a Varanasi

giovedì 17 settembre 2009

Riconoscimento giuridico delle comunità intenzionali.

Di seguito, un documento interlocutorio, elaborato dal CONACREIS (Coordinamento Nazionale dei Centri di Ricerca Etica, Interiore e Spirituale), per il riconoscimento giuridico delle comunità intenzionali e degli ecovillaggi, con allegata proposta di legge

Introduzione

Le comunità rappresentano una tra le forme più antiche di aggregazione tra esseri umani: oggi possono costituire avanzati laboratori di sperimentazione sociale, eppure non esistono strumenti giuridici per regolare le svariate attività che queste realtà comprendono. L’Italia ha una lunga e ricca storia di esperienze comunitarie, che i sociologi indicano con il termine “intenzionali” per distinguerle dalle "comunità di fatto", cioè quelle che si formano spontaneamente: ma dispetto di una storia così ricca e vivace, le esperienze comunitarie non hanno trovato finora collocazione nell’ordinamento giuridico italiano. La questione che si solleva interessa altre esperienze di fatto che risultano, appunto, prive di propri diritti e, proprio per questo, con minori opportunità di esprimere le loro caratteristiche e potenzialità, e quindi discriminate.
Con l'espressione "riconoscimento giuridico delle Comunità Intenzionali" intendiamo in primo luogo affermare l'esistenza di un modello sociale, economico e di valori, che rivendica la piena dignità della propria esperienza. In altri termini, l'idea di un "riconoscimento" non indica la richiesta di vantaggi di parte, ma rappresenta il modo per poter efficacemente esprimere - con pienezza di comprensione ed in coerenza con l'Ordinamento giuridico italiano - ciò che si è e si fa, inquadrandolo nel contesto in cui si è inseriti.

Elementi di utilità sociale delle Comunità
Nel concepire l'idea di una legge che riconosca le Comunità Intenzionali è necessario conoscere le molteplici opportunità di utilità e crescita sociale che queste costituiscono, non solo per il territorio sul quale sono insediate, quanto per lo Stato stesso.
A questo proposito, basti ricordare il ruolo svolto nella tutela, nel recupero e nella valorizzazione di siti spesso marginalizzati, nei quali l'operosità comunitaria produce il miglioramento di terre incolte, procedendo con elementi quali la riforestazione, la pratica dell'agricoltura biologica, la valorizzazione dei prodotti tipici, il riutilizzo di infrastrutture, il recupero delle consuetudini che erano alla base degli usi civici, così come molto altro ancora. In altri termini le comunità possono essere considerate i sensori dei bisogni del territorio, la cui efficacia potrebbe essere amplificata se esistessero apposite convenzioni con le istituzioni. La Regione Piemonte e la Comunità Europea promuovono politiche pubbliche per ripopolare la montagna, con spese che non sempre sono commisurate ai risultati. La disponibilità di persone che a questo si dedicano gratuitamente con forme di volontariato è un elemento prezioso di che andrebbe riconosciuto e favorito. Non è irrilevante ricordare su questo punto l’oneroso prezzo in vite umane e i costi ingenti per la spesa pubblica in anni recenti, dovuti ai danni derivanti dal dissesti idrogeologici in Piemonte, che in tal modo potrebbero pià facilmente essere evitati, grazie ad un lavoro adeguato di uso dei terreni. Un territorio abbandonato necessita di interventi di ogni sorta; le comunità provvedono ad eseguire a proprie spese le urbanizzazioni primarie e a creare servizi utili di manutenzione e uso delle risorse. Le comunità ristrutturano siti abbandonati e periferici, li fanno rivivere, li rendono abitabili con l'impiego delle energie rinnovabili e con sistemi poco impattanti. Con il loro lavoro riqualificano e nobilitano ciò che altrimenti andrebbe perduto. Anche in questo caso, il risparmio per la collettività derivante dal provvedere in forma autonoma all'uso delle risorse, ai costi energetici, per alcuni casi allo smaltimento dei rifiuti, andrebbe quantificato con cifre di valutazione in termini di diversi "zeri". Con il loro insediarsi in un territorio, molte volte si tratta di territori in fase di spopolamento, le comunità insediano in loco anche attività produttive (in genere nascono e si sviluppano antichi mestieri, arte e artigianato d'eccellenza), infrastrutture e servizi, elementi poi fruibili anche da parte del resto della popolazione insediata nell’area. Sotto il profilo sanitario, la presenza delle comunità svolge una preziosa opera di prevenzione, che si traduce in un risparmio tangibile per la spesa pubblica in quanto ai costi per l'assistenza sanitaria ed ospedaliera. La qualità della vita e la pratica di stili di vita armonici, previene in molti casi la necessità di ricorrere all'uso di farmaci, ad esempio antidepressivi e psicofarmaci, che i servizi sanitari erogano abitualmente. Gli effetti sociali sono molto più estesi di quanto fin qui espresso. Dal punto di vista educativo, i piccoli he crescono in comunità hanno molte più figure di riferimento educativo, capaci di completare ed integrare il quadro parentale di nascita, diversamente da quanto avviene sempre più spesso oggi in una famiglia mononucleare. Altrettanto importante è il ruolo che hanno in comunità gli anziani, così come altri soggetti deboli, che trovano molteplici occasioni di partecipazione e coinvolgimento alla vita sociale. Motivare e coinvolgere i giovani in ruoli attivi e responsabilizzanti previene i fenomeni di disagio e microdelinquenza, che più facilmente si manifestano in assenza di un contenitore affettivo e progettuale, come la comunità rappresenta. Non certo ultima per importanza è la grande risorsa che le comunità rappresentano nel volontariato: sostenere il volontariato è una scelta coerente con la vita comunitaria, trattandosi di attività che formano gli individui ad affrontare nella pratica la partecipazione ai bisogni della collettività. Un requisito fondamentale da recepire in una legge che riconosca le comunità, dovrebbe essere proprio il riconoscimento dell'impegno sociale, misurabile in servizi di utilità pubblica e privata.

Le Comunità nel contesto urbano

Per ampliare le considerazioni su come le Comunità Intenzionali possano costituire importanti risorse per la società, occorre non limitarsi ad osservare le comunità che si costituiscono in territori extra-urbani, ma anche quelle che si costituiscono nelle grandi città. E' sempre più frequente leggere sulle prime pagine dei giornali notizie su come l'inflazione abbia raggiunto dimensioni preoccupanti, con conseguente impennata dei prezzi relativi ai generi di prima necessità e la difficoltà ad "arrivare alla fine mese" per un numero crescente di famiglie. I dati Istat pubblicati lo scorso anno indicano che più di 13.000.000 di persone sono a rischio di povertà nel nostro Paese e, purtroppo, si tratta di un trend in aumento. Parallelamente occorre considerare che un problema crescente della nostra società è costituito dallo sfilacciamento del tessuto sociale, che unitamente a problemi di isolamento e solitudine, si amplifica soprattutto nei grandi centri. La riduzione della quantità e qualità delle relazioni interpersonali è la carenza più grossa che può affliggere una società, in quanto nessuna politica pubblica può avere efficacia se non ha una base, anche culturale, su cui poggiare. In risposta a questi disagi stanno nascendo risposte spontanee da parte di gruppi di cittadini che si organizzano in forma solidale, per affrontare insieme problemi comuni che altrimenti, da soli, non si potrebbero risolvere.
Ad esempio, nelle grandi città si stanno diffondendo forme di collaborazione interfamiliari per svolgere acquisiti condivisi (Gruppi di Acquisto Solidale), esempi di applicazione a fattispecie diverse dei modelli comunitari, che la recente Legge Finanziaria ha voluto incentivare attraverso trattamenti fiscali agevolati. Recentemente stanno nascendo, anche nel nostro Paese, vere e proprie comunità urbane, ispirate all'esperienza nord europea del co-housing, altrimenti detti “condomini solidali“.
Si tratta di esperienze che non hanno nulla a che vedere con gli squatter e le case occupate: sono infatti tradizionali nuclei familiari e singole persone che scelgono di vivere assieme per fronteggiare, uniti, problemi economici e disagi difficili da affrontate in solitudine. Dalla coabitazione, nata così per necessità di una vita più serena e facile, si sviluppano accordi reciproci, forme organizzate di muto aiuto e gestioni economiche condivise, creando ad esempio per le spese condivise una "cassa comune", fino ad arrivare a regole di vita comuni, condivisione di tempi, di auto, di lavatrici, e altre situazioni comuni scelte, alle quali ispirarsi. Così facendo si attivano processi compensativi che permettono di ammortizzare tra più persone quei costi e oneri e difficoltà che altrimenti sarebbero insostenibili per un solo nucleo familiare, contrastando nel contempo i problemi derivanti dal crescente isolamento.

Gli strumenti giuridici a disposizione delle Comunità

Dopo aver riassunto come le Comunità Intenzionali costituiscano delle straordinarie opportunità di utilità sociale, vediamo ora quali difficoltà queste affrontino e di quali strumenti giuridici possono disporre. In estrema sintesi gli aspetti che occorrerebbe disciplinare con una legge appropriata riguardano: - la proprietà, da intendersi in forma indivisa; - l'organizzazione del lavoro; - le opportunità urbanistiche, da applicare a misura della socialità comunitaria; - i diritti ed i doveri tra gli appartenenti alla stessa comunità. Non esistendo attualmente una disciplina che possa consentire al modello comunitario di esprimersi completamente, le comunità fanno ricorso agli istituti giuridici vigenti, evidenziando i limiti della loro applicazione. Nel dettaglio citiamo alcuni punti chiave:

Le Associazioni.
Le comunità perseguono scopi non lucrativi, ma rappresenta una forzatura farle rientrare in scopi limitati e definiti delle associazioni, poiché gli scopi comunitari sono complessi e variabili per definizione. Inoltre, il lavoro prestato in ambito associativo può solo essere svolto in forma volontaria, mentre la realizzazione delle finalità comunitarie richiede un impegno sovente “full time”. Un altro limite è legato alla scarsa credibilità che le associazioni hanno nei confronti degli istituti di credito, il che rende difficile l'erogazione di prestiti e mutui.

Le Imprese Societarie.
Un'impresa è un'organizzazione a scopo di lucro, per questo poco adattabile alle finalità mutualistiche della comunità ed ai meccanismi di regolazione e compensazione interni. Il lavoro comunitario è invece più assimilabile a quello volontario, che a quello salariale. Inoltre i costi applicati al lavoro in un’impresa sono pensati per attività volte a produrre ricchezza individuale e non sono mirati alla crescita collettiva come avviene invece in una forma comunitaria. Soffermandoci su questi primi due istituti, occorre rilevare come le comunità si pongano a cavallo tra le "associazioni" e le "imprese", che sono anche i due approcci attualmente più vicini rispetto al tema del lavoro. Il primo costituisce il settore "no-profit", finalizzato ad attività volontarie di pubblica utilità, il secondo rappresenta il settore "profit", finalizzato all'accumulo del capitale. Le Comunità, con il solo fatto di esistere, stimolano a riflettere sulla necessità di disciplinare un nuovo soggetto giuridico, rendendo possibile l'operare con modalità profit, ma con il fine di reinvestirne i proventi in attività di utilità sociale e di carattere collettivo.
Con questo approccio si potrebbero trattare più correttamente anche gli aspetti previdenziali e gli accordi interni alla comunità stessa, derogando in parte alle regole di un sistema che nasce per tutelare i lavoratori nei confronti dei datori di lavoro, ma che non è pensato per avere in considerazione le finalità solidaristiche proprie delle comunità.
Altri istituti utilizzati normalmente per supplire alla carenza legislativa comunitaria sono:

Le Cooperative.

Le comunità perseguono scopi mutalistici, in parte assolti dal modello cooperativo, anche se oggi questo è stato equiparato al modello societario. D'altra parte, la comunità rientra forzatamente nella veste cooperativa, perché questa non è idonea a gestire anche funzioni non economiche. Inoltre, anche sotto il profilo economico, la cooperativa accoglie prevalentemente il lavoro dipendente e salariato, mentre non contempla quello proveniente dalla libera attività comunitaria.

Le Fondazioni.

La Fondazione è un'aggregazione legata ad un patrimonio. Si tratta di uno strumento “rigido“, con meccanismi di controllo che non si adattano ad una comunità, nè possono consentirne l'avvio, poiché nella fase iniziale manca proprio il patrimonio. Infine, ma con un profondo distinguo dai quattro precedenti istituti:

la Famiglia.
Il Codice Civile dedica un intero libro al diritto di famiglia. Le Comunità intenzionali sono per certi aspetti simili alle famiglie contadine dell'800, pertanto non così distanti dal paradigma di famiglia allargata. Come tali necessitano della regolamentazione dei diritti e dei doveri che nascono tra le persone che condividono la stessa scelta di vita.

Per un riconoscimento giuridico delle Comunità Intenzionali
Un riconoscimento giuridico delle Comunità Intenzionali dovrebbe innanzitutto definirne finalità ed oggetto, istituendo un apposito registro nazionale. Tra criteri per l'iscrizione al suddetto registro sarà opportuno stabilire l'anzianità minima ed il numero di aderenti, scoraggiando eventuali impieghi impropri e strumentali del nuovo isituto. Il carattere da evidenziare in questo senso è la stabilità del percorso comunitario svolto fino al momento del riconoscimento, pertanto, a titolo indicativo, potranno risultare congrui gli istituti comunitari sorti con almeno 5 anni di attività e la composizione di 20 soggetti appartenenti, minori compresi. Tra gli elementi identificativi dovranno altresì essere misurabili, in termini oggettivi, quali sono le ricadute di utilità sociale che le comunità costituiscono per la collettività. A questo proposito potrà essere opportuno definire l'attività profusa in termini di volontariato, od equivalente impegno quantificabile, che consenta anche di stabilire forme di collaborazione concertata con le Istituzioni. Uno strumento che si può impiegare in tal senso è il Bilancio-Etico-Sociale, rendicontando tramite esso sulle attività svolte e sulle ricadute di queste, delineando un quadro omogeneo, puntuale e trasparente della complessa interdipendenza tra i fattori economici e quelli socio-politici connaturati e conseguenti alle scelte fatte. La proprietà potrà essere intesa in forma collettiva, ai sensi degli art. 2659 e 2660 del codice civile, con l’obbligo di destinare i beni ricevuti e le loro rendite al conseguimento delle finalità istituzionali.
Le Comunità intenzionali potranno stabilire rapporti di lavoro al loro interno in regime di agevolazione fiscale, in ragione della loro accertata utilità e di quanto espressamente affermato nelle finalità statutarie. Si richiama a tal proposito quanto illustrato sopra in merito alla collocazione del lavoro svolto in ambito comunitario, in una posizione mediana tra le attività "non profit" e quelle precipuamente finalizzate al profitto. Oltre al lavoro, le risorse economiche attraverso cui le Comunità Intenzionali potranno finanziarsi riguarderanno, a titolo non esaustivo: donazioni, lasciti, eredità ed erogazioni liberali, contributi di amministrazioni od enti pubblici, entrate derivanti da prestazioni di servizi verso terzi privati o pubblici. La disciplina dovrà anche prevedere la regolazione dei rapporti intercorrenti tra i membri conviventi della comunità, ribadendo come diritti e doveri abbiano una natura mutualistica e solidaristica, equiparati a quelli tra familiari come disciplinati dal Codice Civile, anche ai fini dell’assistenza sanitaria, rispetto ai conviventi residenti. Sarà inoltre opportuno prevedere la possibilità di concedere opportunità urbanistiche secondo parametri ed indici che tengano conto delle esigenze di gruppi umani comunitari. Tali possibilità saranno recepite all'interno dei Piani Regolatori comunali, anche ricorrendo allo strumento delle Aree Speciali. La normativa di riferimento per quanto non espressamente previsto dalla legge potrebbe rimandare alla disciplina delle associazioni di promozione sociale (L. 383/2000).

Disciplina delle Comunità intenzionali
Preambolo

La Repubblica riconosce il valore civile e la funzione di utilità sociale delle organizzazioni comunitarie sociali disciplinate dalla presente legge. Esse sono formazioni attraverso le quali oltre ad esprimersi la personalità dei cittadini si contribuisce alla realizzazione dei valori di solidarietà sociale, civile, economica e culturale, alla tutela dell’ambiente ed al perseguimento di obiettivi di ricerca etica, interiore e spirituale. La funzione sociale delle organizzazioni è espressa altresì dallo svolgimento di compiti ed attività in favore della collettività con momenti di risparmio della spesa pubblica.

Art. 1. Definizione
Le comunità sono aggregazioni di persone fisiche le quali condividono intenzionalmente un progetto di vita caratterizzato dalla ricerca etica e spirituale e fondato su forme di comunione dei beni, collettività delle decisioni, solidarietà e sostegno reciproco tra gli aderenti, attuato infine mediante forme di convivenza continuativa, anche legate ad un determinato territorio od a momenti di valorizzazione degli usi civici.

Art. 2. Requisiti per la costituzione
Le Comunità si costituiscono per atto pubblico rogato da notaio. Possono costituirsi le aggregazioni di persone fisiche che hanno i seguenti requisiti: a) numero di persone di almeno 10 iscritti, compresi i minori all’atto della presentazione della domanda; b) progetto di vita comunitaria caratterizzato dalle finalità di cui all’art.1, da attuarsi mediante forme di convivenza continuativa tra gli aderenti specificamente previste ed indicate; c) svolgimento di attività di utilità sociale, da indicare nell’atto costitutivo d) previsione di un ordinamento interno ispirato ai principi di uguaglianza e pari opportunità tra gli aderenti con indicazione della elettività delle cariche, dell’obbligo del bilancio etico sociale, dei criteri di ammissione, delle modalità di scioglimento e degli obblighi devolutivi in caso di scioglimento. Le comunità in possesso dei requisiti prima indicati possono richiedere la iscrizione nel Registro Nazionale delle Comunità istituito presso il Dipartimento degli Affari sociali della Presidenza del Consiglio; tale iscrizione viene deliberata in favore delle comunità che ne fanno domanda a seguito della verifica della sussistenza dei requisiti e delle condizioni di cui al presente articolo e purché risulti che le comunità siano esistenti ed operanti da almeno 3 anni. La iscrizione nel Registro Nazionale attribuisce alla comunità la personalità giuridica nonché tutti i diritti, gli obblighi, i benefici e le qualità previste dalla legge in favore di detti soggetti e per i rapporti da essa disciplinati. La iscrizione nel Registro Nazionale attribuisce alla comunità un trattamento normativo e fiscale equiparato a quello degli enti no profit ed ONLUS. Il Registro Nazionale presso il Dipartimento è tenuto e vigilato da uno speciale ufficio (Osservatorio Nazionale per le Comunità) del quale dovrà essere chiamato a far parte un rappresentante nazionale delle Comunità.

Art. 3. Risorse economiche.

Le Comunità traggono le loro risorse economiche da: - quote e contributi degli associati; - donazioni, lasciti, eredità ed erogazioni liberali; - contributi di amministrazioni od enti pubblici; - entrate derivanti da prestazioni di servizi verso terzi privati o pubblici; - proventi di cessioni di beni derivanti da attività economiche svolte tramite prestazioni d’opera degli associati, di carattere commerciale, artigianale o agricolo; - altre entrate derivanti da iniziative promozionali finalizzate al finanziamento della Comunità. Le Comunità sono tenute per almeno tre anni alla conservazione della documentazione relativa alle entrate di cui al comma precedente. Le Comunità hanno l’obbligo di rendicontazione delle proprie entrate ed uscite in bilanci annuali. Le Comunità sono tenute a reinvestire al proprio interno i proventi derivanti dalle attività economiche svolte, coerentemente con le finalità istituzionali, con il divieto di distribuire tra i membri gli utili eventualmente maturati.

Art. 4. Bilancio etico-sociale.
Le Comunità possono sottoscrivere convenzioni con pubbliche amministrazioni per l’erogazioni di servizi a terzi a titolo oneroso. Le Comunità redigono annualmente il bilancio sociale rendicontando sulle quantità e sulle qualità di relazione con i gruppi di riferimento rappresentativi dell’intera collettività, mirante a delineare un quadro omogeneo, puntuale, completo e trasparente della complessa interdipendenza tra i fattori economici e quelli socio-politici connaturati e conseguenti alle scelte fatte.

Art. 5. Strutture per lo svolgimento delle attività sociali.
Le Comunità possono ricevere in comodato dalle pubbliche amministrazioni beni pubblici mobili ed immobili per lo svolgimento delle proprie attività istituzionali. Possono altresì stipulare con Enti pubblici territoriali locali convenzioni particolari per la costruzione e/o l’ampliamento di strutture edilizio-urbanistiche anche in deroga ai PRGC ovvero per il riconoscimento di “Area Speciale” agli insediamenti destinati al conseguimento delle finalità istituzionali ed a qualsiasi titolo detenuti dalle singole Comunità, anche come momenti di valorizzazione degli usi civici.

Art. 6. Proprietà.

Le Comunità possono avere intestati beni di proprietà collettiva, ai sensi degli articoli 2659 e 2660 del codice civile, con l’obbligo di destinare i beni ricevuti e le loro rendite al conseguimento delle finalità istituzionali.

Art.7. Prestazioni di lavoro

I membri che prestano la loro attività lavorativa presso la Comunità in maniera continuativa e prevalente hanno diritto al mantenimento sulla base della condizione patrimoniale della comunità stessa ed in modo che sia garantito un livello corrispondente a quello definito dall’art. 36 della Costituzione e 230 bis c.c. La Comunità ha comunque la facoltà di organizzare forme di lavoro diversificate con trattamenti fiscali autonomi di cui al seguente art. 8.

Art. 8. Disciplina fiscale e agevolazioni.
Le Comunità possono stabilire rapporti di lavoro al loro interno in regime di agevolazione fiscale nella misura forfettaria fissa per IRPEF del 20% per le prestazioni d’opera onerose ed in regime di esenzione fiscale per le prestazioni d’opera libere e gratuite prestate dai propri associati per il perseguimento di fini istituzionali. Le Comunità intenzionali possono organizzare forme di scambio lavoro-ospitalità, soggette alla agevolazione fiscale sopra indicata, al netto dei costi di ospitalità.

Art. 9. Diritti e doveri degli associati conviventi.

I componenti delle Comunità hanno tra loro diritti e doveri di natura mutualistica e solidaristica, equiparati a quelli tra familiari come disciplinati dal codice civile, anche ai fini dell’assistenza sanitaria.

Art. 10. Eredità
In caso di successione nel patrimonio di un associato appartenente alla Comunità intenzionale riconosciuta per morte del medesimo, in mancanza di altri successibili l’eredità è devoluta alla Comunità intenzionale di appartenenza in deroga all’art. 586 c.c.

Art.11. Iscrizione nel Registro Nazionale delle Comunità in sede di prima applicazione della legge

L’iscrizione nel Registro Nazionale delle Comunità è consentita, su domanda da presentarsi presso il Dipartimento degli Affari sociali della Presidenza del Consiglio entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, a coloro che a tale data dimostrino di avere svolto da almeno 3 anni la attività di cui all’art. 2 e con il possesso dei requisiti ivi previsti, pur attraverso l’utilizzo di altri istituti giuridici previsti dall’ordinamento. Entro un anno dalla data di iscrizione al Registro Nazionale dei soggetti di cui al primo comma i medesimi dovranno provvedere alla loro trasformazione in Comunità secondo le forme ed i requisiti di cui alla presente legge.

Art. 12. Norma di rinvio.
Per quanto non espressamente previsto dalla presente legge, alle Comunità intenzionali si applica la normativa della disciplina delle associazioni di promozione sociale di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383.

Bologna, 13 Settembre 2008

martedì 15 settembre 2009

Damanhur: Newsletter Settembre 2009.

Di seguito, la newsletter settembrina della Federazione di Comunità di Damanhur, curata da Gufo Mandragora, dell'ufficio stampa, che ha anche gentilmente concesso, a Viverealtrimenti, un'intervista su alcuni aspetti organizzativi dell'esperienza damanhuriana.
La newsletter:


Molte persone, d´estate, vengono in visita a Damanhur. Sono le persone più diverse: curiosi, turisti di passaggio, pellegrini spirituali, amici di persone venute qui in precedenza, gruppi organizzati, viandanti solitari...Alcuni sono colpiti dalla varietà di attività, settori, campi di ricerca, altri dall´energia dei luoghi o dall´impostazione della vita sociale, dalla bellezza dei Templi, dalla complessità generale, e partono da qui frastornati. Molti con il desiderio di tornare per `capire meglio´, per approfondire, per trovare qualcosa che fa risuonare le parti corrispondenti dentro di sé. In una visita sola, lo vedo per esperienza, si può assaggiare questa realtà ma senza la pretesa di capire tutto. A dire il vero, nemmeno le persone che, come me, vivono qui da vent´anni e più possono affermare di aver capito esattamente cosa sia: vivendoci dentro, è una realtà talmente viva e in movimento che appena ne hai afferrato una parte, è già cambiata. In effetti, descrivere cos´è Damanhur in poche parole non è possibile, e nemmeno forse in poche righe, se non per accenni. Forse anche perché non ci sono modelli di riferimento, altre realtà che nel passato conosciuto abbiano percorso la stessa modalità.Proprio per questo, raccogliamo volentieri le considerazioni, le frasi di commento, i suggerimenti di tutti i nostri ospiti. Tra questi, ce n´è stato uno d´eccezione proprio nei giorni scorsi.

Sting a Damanhur
E´ arrivato in forma privata, accompagnato dalla moglie e da due amici americani. Ci siamo accorti di lui perché non era possibile non notare Sting (sì, proprio lui, il famoso musicista!) che si aggirava tra i laboratori della DamanhurCrea e nel territorio di Damjl. Sting ha voluto anche visitare i Templi, assaggiare cibi biologici preparati dai nostri migliori locali di ristorazione, sperimentare i massaggi, le self, e molto profondo è stato il suo contatto con la Musica delle Piante, nel Bosco Sacro. Ha provato anche lui ad interagire con le diverse piante musiciste, un ciclamino e un geranio. Una sperimentazione che lui porterà avanti anche nella sua casa in Toscana, avendo trovato questo sistema molto stimolante ed interessante. Insomma, con discrezione e molta attenzione e curiosità, Sting e i suoi compagni hanno trascorso due giornate tra noi. Vi riporto quanto da lui scritto, dopo la visita ai Templi:

"L´emozione principale è naturalmente di gratitudine!
Per il coraggio di una visione così ampia, nella sua semplicità unita alla sua complessità. Con stupore e gratitudine! Sting".


Mi fa piacere anche riportarvi quello che Sting ha detto dopo un colloquio con Falco:

"Avrei voluto conoscere Damanhur più di un anno fa, insieme ad un altro amico, ma poi non fu possibile organizzare il viaggio per impegni di lavoro. Per quanto mi riguarda io giudico le persone in base a chi le circonda e tu sei circondato da bellissime persone".

Foto di Popolo

Lunedì 24 c´è stata la tradizionale `Foto di Popolo´, con moltissime persone da tutto il mondo.Si tratta di un evento annuale in cui tutti gli appartenenti al nostro popolo che ne hanno la possibilità si trovano a Damjl, la Capitale, per fare una foto che simbolizza lo stato dell´arte del Popolo stesso.La foto di gruppo generale è stata seguita da altre foto: appartenenti alle Vie Spirituali, componenti dei Nuclei Comunità, aziende damanhuriane e così via.

Capodanno damanhuriano
E vediamo adesso al mese di settembre, perché anche settembre sarà un mese intenso!Innanzitutto, il 31 agosto si è festeggiato il capodanno damanhuriano e l´inizio del successivo 35° anno.E' stato acceso come da tradizione il "Falco Stellare", una figura composta dalle candele accese da ogni persona che riproduce la forma stilizzata di un falco. E´ per noi un momento di rinnovamento: si fa il punto della situazione, dei risultati raggiunti, e si programma l´anno futuro dandosi obbiettivi e intenti mirati. Questo avviene sia a livello generale che per ogni singolo, attraverso quelle che chiamiamo Lettere degli Intenti.

Presentazione del film "Luna"
Julia Butterfly Hill
Un'altra ospite importante è stata da noi il 6 settembre: Julia Butterfly Hill, conosciuta come `La ragazza della sequoia´Già in visita a Damanhur due anni fa, torna ora per presentare il film "Luna", la storia della sua esperienza: due anni interi senza scendere dalla sequoia millenaria che voleva difendere dall´abbattimento. Il film si ispira a questo e alla visione della vita che Julia ha maturato in conseguenza, scaturita ora nel progetto what´s your tree, che verrà presentato sempre in quest´occasione. Se volete saperne di più potete seguire il link al sito www.whatsyourtree.org oppure scrivere una mail a milena@whatsyourtree.org.

Un video sul programma What´s your tree.

Per introdurre la conferenza di Julia, che inizierà intorno alle 18.00, ci sarà alle 17,30 un Concerto di Musica delle Piante, all´Anfiteatro Damjl. Siete tutti invitati!
Per chi vive vicino a Firenze, potrebbe essere interessante partecipare proprio in quella città il 9 Settembre presso l'Orto Botanico "Giardino dei semplici", alle 17:00, ad un analogo incontro pubblico con Julia.
Con voi.
Gufo Mandragora


Università di Damanhur - Corsi/Eventi

19 - 20 SETTEMBRE CONTATTISMO CON IL COSMO
19 - 20 SETTEMBRE EQUINOZIO D'AUTUNNO
20 - 24 OTTOBRE COME FONDARE UNA COMUNITA' DI SUCCESSO
24 - 25 OTTOBRE RICERCA DELLE VITE PRECEDENTI

Iscrizioni aperte presso:
OLAMI DAMANHUR UNIVERSITY
0124 512236/05

giovedì 10 settembre 2009

Un "Vangelo Psicosintetico" A Hodos.

Ho precedentemente parlato de «l’incontro con Hodos e Fabio Guidi, laddove la psicosintesi si fa comunità».
In questo post, ritorno sul colloquio avuto con Fabio, troppo lungo per non essere riportato in due diversi momenti.
Di seguito, la nostra chiacchierata su di un suo nuovo testo «I miei anni con Gesù», una sorta di “Vangelo apocrifo” personale che Fabio si è voluto concedere per fissare su carta il suo rapporto con il grande, multidimensionale maestro palestinese. Per quanto, gli anni con Gesù di cui parla lungamente non siano i “suoi” ma quelli di S. Tommaso che, prossimo alla fine, in India, racconta al suo discepolo prediletto la lunga esperienza avuta accanto al suo maestro.


La particolarità di questo vangelo è che si basa sulla ricerca storica, e non sulla consueta tradizione della chiesa. Dietro le tradizioni dei vangeli canonici c’è stata tutta una ricerca critica a livello storico, archeologico, eccetera, che ha portato a dei risultati plausibili per farsi un’idea abbastanza fondata di quello che sia successo negli anni della vita di Gesù. Ovviamente, non abbiamo grandi certezze, i dati a nostra disposizione sono scarni ma, in poche parole, trovo che questo vangelo non sia meno attendibile, sul piano storico, dei vangeli canonici, che spesso si trovano perfino in contraddizione tra di loro. In questo vangelo ci sono ben 330 note che ho voluto mettere alla fine per non appesantire il testo, che andrebbe letto come un romanzo per quanto, ad una seconda lettura, può essere visto anche come uno strumento di studio. Voglio far risaltare Gesù come maestro di insegnamenti spirituali che servano all’uomo contemporaneo nella sua inquietudine, nella sua ricerca spirituale, con un linguaggio che possa essere compreso dall’uomo del terzo millennio. Ma in fin dei conti, questo vangelo costituisce la «mia» interpretazione di questo grande maestro, che delinea il mio personale «rapporto» con lui.

A me la figura di Gesù interessa molto, anche da un punto di vista critico, apocrifo. Alcuni anni fa lessi un libro di Maria Fida Hassnain, direttore dell’archivio storico di Srinagar, in Kashmir — Sulle tracce di Gesu’ l’esseno ―. In poche parole la tesi di Hassnain, che rientra in un più vasto filone di pensiero (un predecessore di Hassnain, in questo senso, e’ stato l’ antropologo russo Nicholas Roerich), è che Gesù, negli anni di cui non parlano i Vangeli (non a caso esiste anche un testo, in italiano, che si intitola Gli anni perduti di Gesu’), tra i 13 ed i 30 anni, abbia viaggiato molto. Allora era anche più semplice viaggiare, con pochi soldi, attraverso le vie carovaniere, tra cui la celebre “via della seta”, le stesse percorse da Alessandro Magno tre secoli prima per espandere il suo impero nei territori nordoccidentali dell’India. Secondo questa scuola di pensiero, si sarebbe fermato periodi più o meno lughi in diversi posti dove sarebbe rimasto impresso nel mito, al punto da essere stato conosciuto con diversi nomi; in Persia come Yuzu (storpiatura del suo nome ebraico Joshua), in India Issa o Isha (contrazioni dello stesso).

In questo mio libro non si segue questa ipotesi ma quella per cui Gesù era un maestro esseno presso la comunità di Qumran. Tra l’altro è il racconto (non a caso si intitola I miei anni con Gesù) del discepolo Tommaso che, lui sì, ha evangelizzato l’India e, alla fine della sua vita, scrive ad un suo discepolo la sua “storia” con Gesù. Questo detto, non escludo possano esserci altre ipotesi plausibili.

A mio parere sono abbastanza compatibili, anche Maria Fida Hassnain sostiene Gesù si sia formato presso gli esseni (non a caso il suo libro si intitola Sulle tracce di Gesù l’esseno).


Si, questo è praticamente sicuro…

Anche perchè, come scritto sugli Atti degli apostoli, la prima comunità cristiana, a Gerusalemme, era ricalcata sul modello esseno, pur in presenza di elementi di divergenza.

Certo, i primi cristiani sono andati oltre l’esperienza essena, pur avendone assimilato molti insegnamenti.

Non so se hai visto il film I giardini dell’Eden, liberamente ispirato ai vangeli apocrifi. Da lì emerge una versione, a mio parere, abbastanza verosimile, cioè che Gesù ha un periodo di noviziato presso gli esseni ma poi, per alcune sue visioni eccessivamente innovative, viene cacciato. Io trovo anche abbastanza verosimile che lui, dopo l’esperienza presso gli esseni, abbia continuato ad elaborare una sua visione viaggiando ― perchè allora la conoscenza passava molto per il viaggio, era una conoscenza diretta — e, con un fagotto di stracci, al seguito di carovane di mercanti, sia arrivato fino in India, da sempre un enorme magnete per i “ricercatori di verità”. È anche verosimile pensare che in India abbia avuto accesso ad un conoscenza iniziatica profonda ed articolata che gli ha dato modo, infine, di elaborare una sintesi. Difatti, a ben pensarci, il concetto di incarnazione, di Dio che si fa uomo, è molto orientale. In ambito giudaico Dio è assolutamente trascendente, sostenere che possa farsi uomo è considerato blasfemo, al punto che il sinedrio, prima che i romani condannassero Gesù per lesa maestà, lo condannò per bestemmia, perchè sosteneva di essere della stessa sostanza del padre.


Il motivo è che il messaggio di Gesù era intollerabile per le istituzioni del tempo. Lui stava rivoluzionando il rapporto tra l’uomo e Dio, intendeva eliminare il sacerdozio… ed è stato completamente travisato nel tempo. Infatti il sacerdozio è rimasto ben saldo; Gesù voleva liberare l’uomo dalla Legge e dai suoi rappresentanti legali, ma ancora ne siamo invischiati.

D’accordo ma tornando al concetto del Dio che si fa uomo, questo era presente nell’induismo già diversi secoli prima di Cristo. La Bhagavad Gita ne rappresenta la coronazione ed è del trecento avanti Cristo, grossomodo, per quanto con le datazioni, in India, è sempre difficile essere precisi. Il concetto di avatar (in sanscrito, letteralmente, “discesa”) è comunque molto antico nell’induismo. Rama e Krishna, per esempio, sono considerati avatar, incarnazioni di Vishnu. In poche parole, gli hindu credono che quando il dharma non è più rispettato ed il mondo è a rischio di catastrofe perchè troppo lontano dalle norme dharmiche, l’aspetto conservativo, preservatore della divinità (nella trimurti induista Vishnu) si incarni in un uomo e rimetta ordine. Questo stesso concetto, fatti gli opportuni distinguo, lo ritroviamo nel messaggio di Gesù ed è qualcosa che lui potrebbe aver assimilato in Oriente. La cosa bella è che in India tutti considerano che Gesù sia stato lì, dove è spesso qualificato come Pakka Baba, il maestro (baba) di grande valore (pakka) .

I cattolici credono che Gesù sia nato da una vergine e la devozione popolare è molto legata a quest'idea. Ogni tradizione popolare ha la sua mitologia. Comunque, che Gesù si sia formato in ambiente esseno, abbia viaggiato per poi tornare in Palestina, rimane un’ipotesi. Un'altra è che si sia formato in ambiente esseno, sia diventato un maestro, si sia poi staccato dal movimento ed avvicinato al movimento ribelle degli zeloti (metà dei suoi discepoli erano zeloti, questo e’ attestato storicamente) per cui esiste anche il filone di Gesù rivoluzionario, capo dei ribelli. Sono ipotesi.

Sì, la cosa che destò più scandalo, dopo il ritrovamento dei rotoli di Qumran, era proprio l’ipotesi che Gesù fosse un capopopolo.

Sì, ci sono varie ipotesi, a me piacciono le persone che fondano le proprie ipotesi su dati storici.

Sì, infatti Hassnain ha un approccio di tipo storico anche se spesso non gli è stato riconosciuto. Un ottimo libro, in questo senso, è quello dello storico delle religioni Holger Kersten Jesus lived in India. L’ipotesi che più di tutte sconquassa la chiesa, sostenuta anche da Kersten, della stessa scuola di Hassnain, è quella secondo cui Gesù sia stato in India, sia tornato in Palestina ed abbia predicato. A seguito della pericolosità delle sue idee sia stato crocefisso ma, avendo imparato in India a simulare la morte apparente (è una delle siddhi ― poteri yogici — che si possono acquisire pur senza essere avanzatissimi nella via dello yoga), sia stato deposto dalla croce essendo, in realtà, ancora vivo. Assistito inizialmente da Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea, che avevano preso in consegna il corpo, abbia avuto modo di recuperare le forze e sia tornato in India dove avrebbe vissuto fino a tarda età per poi “lasciare il corpo” ed essere sepolto. A riprova di tutto questo starebbe la sua tomba nella città vecchia di Srinagar, in Kashmir. La tomba c’è e tuttavia questo non significa che sia autentica; gli indiani sono notoriamente dei pataccari tremendi, dunque potrebbe essere di un altro santo, che sia stato fatto passare per Gesù. Ciò non inficia, tuttavia, la verosimiglianza dell’ipotesi indiana. Potrebbe anche essere considerata solo parzialmente, nella misura in cui Gesù, negli anni di cui non parlano i vangeli, potrebbe essere stato, effettivamente, in India, aver elaborato la sua sintesi dottrinaria anche alla luce di quanto vi avrebbe imparato e poi, tornato in Palestina, aver predicato per poi morire, come da vangeli canonici, in croce.
Tornando nel bacino mediterraneo, esiste il filone del Vangelo esseno della pace che rappresenta un’altra versione “non convenzionale” della figura di Gesù. Va considerato che anche sull’ipotesi di Gesù esseno si diverge clamorosamente perchè il Gesù del Vangelo esseno della pace era un pacifista, che curava con i digiuni, era un naturista che si bagnava nel Giordano mentre, secondo alcuni traduttori dei rotoli del Mar Morto, ad esempio Allegro, Gesù era sì un esseno ma anche un “guerrafondaio”.


All’inzio della nuova era, cioè il primo secolo, gli esseni si avvicinavano molto agli zeloti, dai loro ambienti sono usciti, difatti, molti militanti zeloti. Parliamo dunque di un movimento, quello esseno, variegato, con diverse facce. Io ritengo che nel momento in cui c’è un maestro spirituale, questo abbraccia tante, diverse sensibilità per cui io sono convinto che in tutte queste tradizioni antiche ci sia un aspetto di verità ma che, allo stesso tempo, ciascuna di queste abbia voluto ridurre Gesù in un filone. Oggi noi cosa possiamo fare? Possiamo solo entrare in contatto con queste tradizioni, valutarle, vagliarle a livello storico, il più possibile e, alla luce di quelle più credibili, farci una nostra idea personale. In fondo, poi, diventa un confronto individuale con questa figura, per questo il Vangelo psicosintetico che ho scritto si intitola I miei anni con Gesù. Considerando il Vangelo esseno della pace, devo dire che mi ha dato tanto. Ci sono insegnamenti straordinari. Lì viene fuori un Dio-madre, che bilancia la nostra idea del Dio-padre. Uno dei passaggi più belli di quell’apocrifo è che nessuno può arrivare al padre senza passare prima per la madre. La madre nutre, alleva, custodisce il figlio fino a quando ha l’età adatta per essere preso dal padre ed essere introdotto in società. Fa un parallelo tra la crescita dell’individuo e la crescita spirituale. Prima bisogna riconnettersi con la madre-terra, è il messaggio, per avere il nutrimento necessario per cominciare a realizzarsi attraverso le leggi divine, la Legge del Padre. Per cui prima devi essere connesso con te stesso, con la tua base corporea e poi da lì crescere su un piano etico-spirituale, perchè se la tua etica non si appoggia a questa base stai sulle sabbie mobili. È quello che sta succedendo oggi: la gente vuole andare per aria ma sotto non c’è niente. È il problema di molta new age, ad esempio…

Io la new age ho imparato ad odiarla con tutto me stesso, con tutto che ho inziato dalla new age. Avevo bisogno di qualcosa che fosse un’alternativa al nulla. Ricordo a Trento, dove studiavo sociologia, vivevamo in una specie di comune, una situazione proprio squatter, dove nessuno lavava i piatti, le solite situazioni velleitarie che degenerano nello squallore. Pensavo si dovesse trovare qualcosa d’altro per sottrarsi alla dissoluzione. Dunque iniziai con alcuni libri delle mediterranee, dopo che un amico mi parlò del reiki. Andavo proprio a tentoni, poi ho trovato una mia via che mi ha portato fino in India ma la new age l’ha fatta proprio da padrona all’inizio. Credo, in generale, abbia una funzione che poi le ho riconosciuto nei miei libri: per chi brancola nel buio, cioè per la maggior parte delle persone, l’appiglio new age è relativamente semplice e, se non si rimane ad un livello da sempliciotti, può aprire molte prospettive interessanti, che, come dire, “lo trascendano”.

Certo, alla fin fine oggi molti finiscono per iniziare il proprio percorso da lì, l’importante è non arenarsi e far sì che la propria ricerca si raffini sempre di più, evitando derive semplicistiche.

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giovedì 3 settembre 2009

Damanhur: alcuni dettagli di vita comunitaria.

Di seguito l'intervista a Gufo Mandragora, dell'ufficio stampa della Federazione di Comunità di Damanhur su alcuni aspetti organizzativi dell'esperienza comunitaria piemontese.

Puoi darmi alcune delucidazioni riguardo i diversi livelli di cittadinanza a Damanhur. Ho letto che esistono cittadini di livello A, di livello B, di livello C e di livello D.

Ci sono livelli di cittadinanza differenti che, da un certo punto della storia di Damanhur in poi, abbiamo iniziato ad inserire. Perché, se all’inizio le persone coinvolte nel progetto Damanhur lo erano integralmente, in un secondo momento si sono avvicinate persone che non se la sentivano di coinvolgersi allo stesso livello. Di conseguenza, abbiamo iniziato a prevedere varie possibilità. Dunque, oggi si può diventare cittadini di Damanhur decidendo che questo è l’obiettivo prioritario della propria vita, coinvolgendo tutte le proprie energie, le proprie risorse; oppure, per i motivi più disparati, abbiamo lasciato la possibilità di fare queste scelta assumendosi impegni diversi, compresa l’opportunità di non vivere in comunità,di vivere in altre parti d’Italia e del mondo pur avendo un rapporto di cittadinanza.
Cittadinanza damanhuriana per noi significa essere vincolati dalla Costituzione damanhuriana: un insieme di principi, di regole cui tutti ci atteniamo. Anche quando io mi trovo al di fuori del territorio di Damanhur, rispetto i principi della Costituzione perché fanno parte del percorso che ho scelto. Ad esempio: non fumare, non abusare di alcolici, non usare sostanze stupefacenti, il rispetto per l’ambiente, sono regole che non applico solo quando sono a Damanhur ma sono entrate a far parte della mia vita. Dunque, nel momento in cui ho scelto la cittadinanza, ho scelto di vivere così e questo stile di vita vale per chi vive qui e per chi, pur essendo collegato a Damanhur, vive negli Stati Uniti o in Giappone o dove vuoi tu.
Ogni livello di cittadinanza ha impegni diversi e possibilità diverse per cui, ad esempio, i responsabili delle comunità vengono eletti dai cittadini di livello A; da quelli, cioè, che vivono materialmente nelle comunità. Non avrebbe senso che vegano eletti da altri.

Come è organizzata la vita dei cittadini di livello A che vivono e lavorano a Damanhur?


Per la legge italiana, tutto quello che è un rapporto lavorativo deve essere regolamentato per cui noi abbiamo diverse attività che funzionano come ditte individuali o cooperative o aziende di altro tipo. Esistono poi persone, all’interno di Damanhur, che svolgono lavori di servizio, non lavori di tipo produttivo. Per esempio, chi si occupa della nostra Scuola Famigliare, non ha un lavoro che produca reddito; è una scelta nostra avere persone che svolgono questo tipo di funzione. Per cui c’è un accordo, tra di noi, che questa persone vengano sostenute dagli altri, all’interno della propria Comunità, attraverso un sistema di solidarietà che coinvolge tutta la Federazione. Lo stesso vale per gli artisti: chi ha lavorato per i templi viene sostenuto da tutti, perchè a noi tutti interessa portare avanti quell’obiettivo. Mentre tutto quello che produce reddito, ovvero beni e servizi che vengono venduti all’esterno, quello è regolamentato dalla legge italiana.

Riguardo la messa in comune dei propri beni, so che è possibile, a Damanhur, scegliere se collettivizzare ciò che si ha oppure no. Me lo confermi?


Noi tutti siamo soci di una Cooperativa, proprietaria dei beni immobili che fanno parte di Damanhur. Se io, socia, decidessi di andare via mi verrebbe restituita una quota, non la casa fisica. Questo è un sistema per tutelare la comunità dalle scelte diverse degli individui. Poi, il fatto di mettere in comune beni che abbiamo a disposizione, proprietà da altre parti d’Italia o se avessimo un’eredità eccetera, questa è una scelta che ciascuno fa anche in base all’impegno che ha deciso di avere a Damanhur. Se io ho investito tutta la mia vita per Damanhur e decido che questo è il mio obiettivo prioritario, è chiaro che se ho qualcosa a disposizione la metto qua perchè so che andrà a contribuire a realizzare un progetto a cui io tengo. Al contrario, se ho problemi di salute o figli da mantenere all’esterno di Damanhur, posso regolarmi diversamente. Ognuno si confronta con Damanhur rispetto a quella che è la sua situazione specifica. In presenza di problemi di qualunque tipo, i Re Guida — coloro che sovrintendono a tutta Damanhur ― parleranno con la persona e vedranno insieme quale è la soluzione più adatta in quel caso, in quella situazione, in base alle emergenze che ci sono a livello collettivo ed alle esigenze individuali. Chiaro che c’è sempre da trovare un equilibrio tra l’individuo e l’insieme.

Dunque, da quello che ho capito, nessuno è proprietario di beni immobili; i damanhuriani sono soci di una cooperativa e, come tali, sono intestatari di alcune quote. Per quanto riguarda la messa in comune dei beni, è una scelta del tutto individuale e si riverbera a volte sul livello di cittadinanza a volte no, varia caso per caso.

Sì, diciamo che, come regola, chi ha il livello di cittadinanza A condivide tutto quello che ha, tuttavia c’è sempre un rispetto della persona per cui, effettivamente, può variare caso per caso, in base alla specifica situazione.

Per quanto riguarda la decisionalità so che Damanhur è decentrata in 44 comunità di 20 persone ciascuna…

Sono un po’ meno, ora, le comunità hanno più o meno 20-25 persone, il numero è sempre variabile, a volte le comunità si accorpano, a volte si suddividono. Saranno 25 circa in questo momento le Comunità. Prima erano di più perchè erano meno numerose. Ultimamente la tendenza, per gestire meglio territori più vasti, è di collegare due o più gruppi, formando delle Regioni, …perchè oltre alla casa abbiamo campi, boschi da curare per cui più siamo e meglio è. Le singole comunità hanno un buon margine di autonomia ed hanno, ciascuna, un Reggente. Questi è il responsabile, il coordinatore della comunità e viene eletto dalle persone che la abitano. Dura in carica un anno circa, con una verifica dopo i primi sei mesi. Questa persona è anche incaricata di mantenere le relazioni con altri Reggenti e con i Re Guida perchè tutto funzioni secondo una direzione comune.

I reggenti che requisiti debbono avere?

Anzitutto devono avere voglia di svolgere questo incarico, che è al servizio degli altri e senz’altro impegnativo. Di solito devono avere anche una capacità di relazionarsi con gli organismi di Damanhur. Non ci sono dei requisiti fissi. Possono anche essere persone che vivono a Damanhur da non molto tempo, è importante che abbiano la predisposizione, il desiderio…non ci sono delle regole precise.

A livello decisionale che ruolo hanno?


Esprimono un parere dopo aver consultato la propria comunità, dunque sono dei portavoce. Hanno anche la facoltà di prendere decisioni “veloci”. È tutto impostato secondo questa linea: ci sono delle decisioni che possiamo permetterci di discutere ed altre che vanno prese subito per cui scatta, per tutti noi, un meccanismo di delega e di fiducia nei confronti di chi abbiamo eletto: i Reggenti ed i Re-Guida. I Re-Guida solitamente, consultano la popolazione di Damanhur ma, se c’è una decisione veloce da prendere, hanno comunque la nostra fiducia, senza il bisogno di far passare tre mesi in attesa che esprimiamo tutti il nostro parere.

I membri della comunità in che modo incidono a livello decisionale?


Le singole comunità si incontrano, in genere, una sera a settimana per affrontare i temi di quella famiglia, di quel gruppo, dalle cose più pratiche alle cose teoriche. Quando i Re-Guida vogliono sentire il parere di tutti e portare grossi temi a tutti i damanhuriani viene indetta un’assemblea generale.

Il metodo del consenso non lo utilizzate?

C’è la fiducia, la delega e la fiducia perché, per noi, votare una persona significa averne fiducia, almeno in quel momento. Poi i nostri incarichi sono tutti a verifica, non durano in eterno per cui c’è un confronto che però avviene in un secondo momento. Perché, se le decisioni sono da prendere subito, ci vuole qualcuno che si assuma le responsabilità di prenderle. Per quanto, ripeto, a posteriori ognuno abbia il diritto di fare le sue contestazioni.

Che livelli di condivisione ci sono all’interno delle diverse comunità?

Condividiamo la casa, gli spazi comuni, gli oggetti all’interno della casa, le ristrutturazioni, il territorio. Il nucleo familiare (in genere 20-25 persone) mangia, generalmente, insieme, compatibilmente con orari e tempi di lavoro, scuola eccetera.. Si condivide anche l’educazione dei figli, tutti si confrontano sui figli che vivono in quella casa, mantenendo delle linee educative comuni. Questo vuol dire lavorare sui punti di forza ed i punti deboli di questo o quel bambino o ragazzo, di modo che possa dare il meglio di sè, nel tempo. Si condividono dunque gli spazi, l’economia della casa. Sulle automobili ci siamo confrontati a lungo. C’è stato un periodo in cui Damanhur era molto più piccola e si condividevano le auto ma c’erano, appena, 3 o 4 comunità ravvicinate tra loro. Oggi abbiamo una realtà molto sparpagliata, alcuni nuclei sono a 12-20 chilometri di distanza. Questo rende indispensabile l’uso dell’automobile, non siamo neanche in pianura, per cui non è possibile spostarsi in bicicletta. Passeremmo le giornate a pedalare…
Dunque, dopo esserci confrontati a lungo anche sull’eventualità di avere mezzi di spostamento comuni, pulmini o simili, fatti due conti abbiamo visto che, con il tipo di impostazione che ci siamo dati, per ora non è possibile fare diversamente da come stiamo facendo. Comunque siamo sempre in cerca di nuove possibilità. Molti di noi usano l’eco-diesel, ma non ci sono ancora meccanismi perfetti, possono essere investimenti che poi non pagano. Comunque continuiamo a sperimentare, a cercare soluzioni adatte anche a come siamo noi: il territorio in cui abitiamo, la vita che facciamo (ognuno di noi ha un lavoro diverso, orari diversi, eccetera). Per adesso abbiamo visto che è molto meglio ognuno sia responsabile, in toto, di un mezzo di trasporto, ma disponibile a condividerlo con altri che ne abbiano necessità. In questo siamo molto fluidi, non ci sono difficoltà. Alla fine, le nostre auto sono più efficienti. Quando erano di tutti non sempre avevi un’auto che funzionava.

Vuoi dirmi qualcosa in più sui Re-Guida?


I Re-Guida sono due persone che eleggiamo ogni 6mesi. Possono essere le stesse per più mandati e sono il massimo organismo elettivo di Damanhur. Sovrintendono a tutta la vita sociale, anche alle Comunità, sono coloro che incontrano tutte le settimane i Reggenti per raccogliere informazioni, sentire pareri, prendere decisioni in merito alla direzione di Damanhur. Sono persone che, ovviamente, debbono conoscere Damanhur a sufficienza. Di solito vengono elette persone cui viene riconosciuta da tutti la capacità di condurre una realtà così complessa. È un lavoro impegnativo per cui, in quel periodo, la persona incaricata vi si dedica integralmente. Mentre un reggente di una comunità continua anche a fare il suo lavoro, il Re-Guida è impegnato full time. Nella Costituzione c’è scritto che vengono eletti da tutti gli appartenenti alla Scuola di Meditazione ovvero da tutte le persone che seguono il percorso di Damanhur integralmente, con tutti i livelli di appartenenza previsti.

È previsto anche che vengano considerati ad un buon livello di saggezza? Può essere questa una discriminante?

Si tiene conto di tanti fattori: il carattere della persona, la capacità di reggere alle pressioni. Entra poi in gioco la capacità di riconoscere, ad altri, la qualità giusta, nel momento dell’elezione. Inoltre Damanhur attraversa fasi diverse per cui vengono, di volta in volta, elette persone con caratteristiche diverse anche sulla scia della sensibilità che abbiamo sviluppato nel tempo, sentendo un po’ che momento è. Non è sempre la stessa caratteristica ad essere richiesta.

Ti chiedevo perchè pensavo alle guide della comunità di Ananda; loro hanno il concetto di dharmocrazia, per cui le guide sono persone considerate particolarmente avanti nel percorso spirituale…

Qui è un incarico più sociale che spirituale. Chiaramente debbono avere un loro spessore spirituale perchè in Damanhur la parte sociale non è scissa da quella spirituale, però, in questo caso, il compito che si troveranno ad affrontare è più sul piano sociale e pratico che non su quello spirituale di cui si occupa, invece, il “corpo di meditazione”.
Ripercorrendo la storia, vediamo che Damanhur è nata come realtà spirituale prima che come realtà pratica. I fondatori, all’inizio, si incontravano con obiettivi di ricerca spirituale. Da lì hanno deciso di fondare la comunità. Il passo successivo è stato rendersi conto che senza un rinnovamento, senza la capacità di trasformarsi, questa comunità avrebbe avuto le gambe molto corte e quindi è nato quel meccanismo che noi abbiamo chiamato “il gioco della vita” che è, se vuoi, la capacità, attraverso nuove sperimentazioni, di aprire nuovi fronti, nuove possibilità, quindi: cambiare giocando. Per cui: i nomi degli animali, tutta l’onda artistica che ad un certo punto si è inserita a Damanhur ed ha creato rinnovamento, la capacità di non rimanere fissi. Il quarto passaggio, il quarto “corpo” ― noi li chiamiamo “corpi di Damanhur”, in analogia con i diversi corpi dell’individuo: fisico ed i diversi “corpi sottili” — è quello che noi chiamiamo “tecnarcato”, che è la capacità di lavorare su di sè per integrarsi pienamente in questo meccanismo, per cui, dopo aver creato le strutture, il punto torna all’individuo che deve trovare dentro tutto questo il proprio percorso di perfezionamento. Di qui la responsabilità di vivere queste realtà dentro di sè. Queste sono le 4 caratteristiche cui ogni cittadino di Damanhur si attiene. I Re-Guida si trovano a sovrintendere soprattutto l’aspetto pratico, sociale, organizzativo che è direttamente collegato a tutti gli altri, confrontandosi con i responsabili degli altri corpi, preposti a coordinare l’aspetto spirituale (meditazione), quello del gioco della vita e quello del tecnarcato.

Inutile dire che, sullo sfondo, il riferimento carismatico, spirituale resta sempre Falco


Per adesso è così, restando fermo che su alcune cose, se lo consultiamo, ci risponde, su altre ci dice: dovete capire voi come fare, quale è il modo giusto. Nel tempo capita sempre più spesso che ci rimandi alle nostre responsabilità. Infatti, essendo il nostro un percorso di crescita, non dobbiamo avere sempre qualcuno che ci dice cosa fare.
Ecco, mi viene in mente che in Damanhur un altro aspetto importante è legato al nostro lavoro sulla salute: l’utilizzo di una medicina sempre più olistica, andando a lavorare su ognuno in modo differente, tenendo conto della complessità di ogni essere, utilizzando il più possibile qualcosa di vicino all’essere umano, aprendoci ad un modo diverso di considerare il nostro corpo, la nostra struttura fisica. Dico questo perchè Damanhur è partita da lì, dal modo migliore di rapportarsi al corpo: un tempio per l’anima. Di lì è partito il discorso della pranoterapia o pranopratica, come si chiama ora, la selfica, tutte le discipline che si sono sviluppate con questo obiettivo: vivere il collegamento tra corpo e anima nel modo più integrato.
In chiusura vorrei dirti qualcosa sui Templi. Sono il cuore della nostra spiritualità e l’espressione pratica di un lavoro collettivo, dunque anche della capacità di lavorare assieme e di ottenere risultati che, a livello individuale, non sarebbe possibile ottenere. Dunque hanno un valore simbolico e, allo stesso tempo, pratico per tutti noi. Per capire cosa è realmente Damanhur, diventa utile visitare i Templi, entrando in contatto anche energeticamente con questo spazio. Dico energeticamente perchè credo che lì , al dì là dello spazio fisico, ci sia davvero una parte di noi, avendoci lavorato con entusiasmo e con un senso di sfida. È stata una sfida per tutti e credo che questo abbia riempito quell’ambiente e possa trasmettere alle persone la stessa voglia di realizzare i propri sogni. Questo è un aspetto che noi teniamo molto a comunicare agli altri. Non perchè diventino anche loro damanhuriani, non perchè facciano le stesse cose che abbiamo fatto noi, ma perchè la capacità di sognare si risvegli in tutti gli esseri umani, di sognare e credere ai propri sogni. È, credo, la cosa più importante. Da bambini siamo tutti capaci di sognare, crescendo viviamo spesso la disillusione, il disincanto. Invece quello che noi pensiamo è che i sogni possano realizzarsi, magari insieme, con altre persone, ma non ci sono limiti, si può realizzare qualunque cosa. Non ci sono limiti se non nella nostra testa.

Sono perfettamente d’accordo e difatti soffro del disfattismo da cui siamo circondati. Se non la pensassi così non mi occuperei di comunità, venderei mutande o scarpe…


Dunque, parlare di Damanhur senza parlare dei Templi credo sia parziale.
Fra l’altro i Templi dell’Umanità sono visitabili a più livelli da tutti, proprio perchè ciascuno trovi il suo contatto. Li abbiamo chiamati “Templi dell’umanità” appunto perché, nella nostra idea, sono dedicati a tutti gli esseri umani, potendo risvegliare in ognuno delle parti diverse.