TRANSUMANZA

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giovedì 18 febbraio 2010

Storia del fenomeno comunitario: vita nelle comuni, tra antifamilismo e protoecologia.

Il fenomeno delle comuni, in Italia, inizia ad avere una buona consistenza agli albori degli anni ‘70.
È figlio, come abbiamo visto, di una cultura beat di importazione ma anche della “nuova stagione comunitaria americana” — soprattutto di matrice hippy e libertaria — cominciata nella seconda metà degli anni ’60.
Le nuove comuni, in America, sono piuttosto diverse dalle precedenti comunità, che si svilupparono, come abbiamo visto, tra la fine del Settecento e la seconda metà dell’Ottocento.
Donata e Grazia Francescato, in un testo del 1975, Famiglie aperte: la comune, analizzano le differenze:

«Le comunità dell’800 sono utopistiche, si pongono cioè per definizione come modelli per il resto della società: il loro accento è sul sociale. Le comuni di oggi […] hanno scopi più limitati, hanno fatto tabula rasa delle visioni grandiose ― percorse da una profonda fede nel futuro — che animavano le comunità del passato. Il concetto tradizionale di “salvezza” è stato barattato con quello più modesto di “crescita personale”, la retorica religiosa o politica ha ceduto il passo a quella psicologica.
Tale nuova e più limitata dimensione del movimento odierno rispetto a quello ottocentesco è riscontrabile anche nella struttura fisica delle comuni: quelle dell’800 erano comunità piuttosto ampie, con centinaia di membri di tutte le età, quelle di oggi sono gruppi spesso limitati ad una decina di membri, nella maggioranza giovani o giovanissimi
». (Donata e Grazia Francescato, Famiglie aperte: la comune, Feltrinelli, Milano, 1975, p. 43)

Il movimento di liberazione della donna ed il nascente movimento ecologico contribuiscono, notevolmente, al consolidarsi di questa nuova stagione comunitaria. L’istituzione famiglia, in ambito femminista (soprattutto, stando a quanto scrivono le sorelle Francescato, presso alcune correnti del femminismo americano), viene questionata come spazio di inferiorizzazione e vessazione, quotidiana, della donna mentre la comune viene identificata come interessante alternativa possibile.
Di conseguenza, anche le comuni italiane degli anni ’70 nascono come strutture alternative alla dimensione familiare classica e come laboratori in cui questa possa essere, in vari modi, disarticolata.
Di qui uno dei motivi originari della valorizzazione della “promiscuità”, anche sull’onda di attente letture dei testi di Wilhelm Reich, Jean Paul Sartre e Simon de Beauvoir, particolarmente in voga in quegli anni.
Lungo gli anni ‘70 gli esperimenti comunitari si moltiplicano; dalle spontaneistiche case aperte, pronte ad ospitare chiunque ne faccia richiesta alle più o meno strutturate “comuni urbane”, fino alle comuni rurali, sperimentazioni ancora più radicali, figlie di un’istanza esplicitamente separatista e proto-ecologica.
L’ostilità verso la città, nell’analisi delle sorelle Francescato, era un elemento particolarmente caro agli hippies, assieme al rifiuto del sistema ed alla diffidenza nei confronti della tecnologia.
Un esperimento di comune rurale che ha fatto storia, in Italia, è quello della comune di Ovada, sulle colline del Monferrato, in Piemonte.
Nell’inverno del 1970, un gruppo di ragazzi si accampa vicino ad alcuni edifici abbandonati, nella campagna limitrofa e, in breve, fraternizzano con i contadini autoctoni, facendosi confidare molti segreti della terra.
In poco tempo, aumentano le persone che decidono di lanciarsi nella temeraria avventura esistenziale.
Aumentano anche le visite e, di conseguenza, le difficoltà a convivere.
I piatti, però, si lavano poeticamente al fiume e la sera si fa baldoria insieme, con armoniche, chitarre e flauti.
Ci sono dunque buoni requisiti per andare avanti.
Valerio Diotto, uno dei beautiful loosers del testo di Matteo Guarnaccia Underground italiana ha raccontato di Ovada in modo così ammaliante che non posso non citarlo:

«Incontrai uno spagnolo osservatore di dischi volanti, che mi invitò ad andare alla comune di Ovada. Il giorno dopo rimediai due motorini e partimmo.
[…]
Arrivammo di notte su una strada sterrata che si perdeva nel bosco. C’era buio totale, a parte lo sfavillio di qualche candela e poi abbiamo iniziato a sentire della musica.
[La comune] non era costituita da una sola casa, ma si estendeva su un’area molto grande su cui si trovavano diverse case.
[…]
Le giornate passavano nella meraviglia, era estate e lì vicino scorreva un fiume che creava delle pozze tra dei macigni, inutile dire che eravamo sempre nudi. Cucinavamo mele cotte sul fuoco della stufa e la notte ci addormentavamo fra nenie e bonghi alla luce delle candele.
[…]
Conobbi l’amore delle ragazze e le sue conseguenze (dolorose gonorree) ebbi avventure (fui caricato dalla mucca in calore) vagai solo nel bosco in acido, percependo la presenza quasi insostenibile di tutte le creature animali e vegetali, sentendo scorrere in loro la vita, la stessa che pulsava dentro di me e tutto questo non mi faceva alcuna paura
». (Matteo Guarnaccia, Underground italiana, Malatempora, Roma, pp. 106-108)

Ad Ovada arrivano hippies da tutta Europa. I meno sociali si ritirano nelle case più a monte ma la repressione non si fa attendere a lungo.
Iniziano le retate. Si procede a singhiozzo per un po’; la comune viene sgomberata e rioccupata più volte fino a che, in Settembre, l’esperienza giunge al capolinea.

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