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lunedì 5 luglio 2010

Biblioteca indologica, tè ayurvedici, corsi di sanscrito nel cuore di Roma.

Il Bibliothè, ubicato in via Celsa 4/5, appena dietro Piazza del Gesù a Roma e liberamente gemellato con Vivere altrimenti, nasce a partire da un’idea discussa durante il centenario della nascita di Swami Bhaktivedanta Prabhupada, fondatore dell’ISKCON (International Society for Krishna Consiousness). E' il 1996. L’idea e'di stabilire in tutto il mondo almeno 100 biblioteche in suo onore. Viene dunque fatta una richiesta di affitto di alcuni locali al Comune di Roma, in occasione di un’iniziativa comunale che abbina un programma di insegnamento nelle scuole con la realizzazione di un “tavolo interreligioso”, per creare una biblioteca. Ottenuti i locali in una posizione strategica, il progetto vede la luce con un piccolo fondo librario che consiste soprattutto nei libri di Bhaktivedantra Swami in varie lingue cui si aggiungono, nel tempo, molti libri che abbiano come soggetto i caleidoscopici aspetti della cultura indiana. Oggi al bibliothè sono disponibili per consultazione e prestito circa 4000 volumi, alcuni dei quali regalati dall’Ambascita Indiana a Roma.
«L’ispiratore del nostro progetto è stato il Dr. Singh, responsabile internazionale del Bhaktivedanta Institute che è una fondazione creata da Bhaktivedanta Swami, fondatore dell’International Society for Krishna Consiousness (ISKCON)», mi dice Enzo (Ekadasi), manager al Bibliothè. «Il Bhaktivedanta Institute ha come scopo quello di interagire con il mondo accademico e Prabhupada aveva individuato in lui una persona che potesse fare da ponte tra il mondo scientifico ed il paradigma vedico in merito a scienza, cosmogonia eccetera. Il Dr. Singh ci ha lasciati nel 2006 ma è stato molto attivo, ad esempio nell’organizzazione di conferenze internazionali dove il Bibliothè (che può essere considerato una sorta di derivazione del Bhaktivedanta Institute) veniva utilizzato come base per incontri di corollario. Il Dr. Singh era spesso a Roma e ci guidava anche a livello spirituale. Noi abbiamo trovato ispirazione anche nei suoi progetti, nelle sue vedute, nei suoi modi di operare che erano più laici/culturali che confessionali».
Per essere ammessi nella biblioteca del Centro di via Celsa è sufficiente una semplice iscrizione gratuita in ottemperanza a quanto previsto dal sistema delle biblioteche del comune di Roma cui il Bibliothè è affiliato come biblioteca di interesse locale, ricevendo un piccolo fondo annuale per incremento del patrimonio librario.
Accanto ad un’offerta culturale ne esiste una di tipo gastronomico, al Bibliothè. Ekadasi: « abbiamo un ristorante che offre cibo sattvico (puro). Del resto nella tradizione vedica il cibo ha un ruolo di grande importanza, al punto che Bhaktivedanta Swami la qualificava come “la religione della cucina”. Difatti, come nella tradizione cristiana si consacra l’Eucarestia, nella nostra tradizione si consacra il cibo per consumarlo tutti insieme in una sorta di agape. Il cibo che offriamo, dunque, è sempre consacrato e gli ingredienti sono sempre di prima classe perchè il cibo viene prima offerto al Signore. Si cucina prima di tutto per la divinità dunque tutto deve essere fresco, il cuoco deve sempre avere abiti puliti, deve aver fatto la doccia appena prima di mettersi ai fornelli eccetera.
Noi proponiamo una “cucina ayurvedica” che si rifà alle tradizioni più antiche dell’India. Abbiamo un ricettario che riporta ricette millenarie, trasmesse da maestri, da cuochi di templi antichi. Abbiamo come riferimento il testo curato da Yamuna Devi Un gusto superiore. Lei ha viaggiato in India per due anni (erano gli anni ’70) con Bhaktivedanta Swami e venivano spesso ospitato presso famiglie aristocratiche e lei non perdeva mai l’occasione per andare nelle cucine, in occasione di celebrazioni e feste, per appuntarsi tutte le “ricette delle nonne”. Noi utilizziamo quel testo da circa 20 anni».
Non solo, tornando nell’alveo dell’offerta culturale, il Bibliothè ospita cicli di conferenze annuali a tema. L’anno scorso, ad esempio, gli incontri vertevano su “arte e scienza” ed è stato curato un evento sulla celebre opera epica del Mahabharata. Quest’anno è stato realizzato un corso comparato sulla psicanalisi ed i chakras.
Ampio spazio viene lasciato alle mostre ed a corsi regolari di lingua sanscrita, astrologia vedica, Kalari-payat (arte marziale indiana), canto vedico e, saltuariamente, corsi di cucina.
«Abbiamo avuto molti artisti che hanno esposto qui, generalmente interessati alla ricerca spirituale», conclude Ekadasi. «Siamo andati a cercare, tra gli artisti noti, quelli più predisposti alla crescita spirituale attraverso l’arte e non solo. Ne abbiamo trovati diversi importanti, a livello internazionale, afferenti alle tradizioni buddista, cristiana, yogica e stiamo cercando di organizzare una mostra per ottobre che si intitoli “l’artista come rishi”, come “visionario”».

Di seguito, un’intervista a Jacopo Nuti, docente di sanscrito che, da anni, tiene i suoi corsi al Bibliothè, per spendere due parole su quella che viene generalmente considerata “la regina delle lingue indoeuropee”.

Puoi presentarti brevemente

Mi chiamo Jacopo Nuti, mi sono laureato all’università di Pisa e dal 2001 ho iniziato a lavorare nell’ambito della lingua sanscrita. Inizialmente è stato grazie ad un mio amico, un docente che mi ha invitato a tenere un corso di sanscrito presso il liceo psico-pedagogico Montale di Pontedera. Di lì ho avuto altri contatti e nel 2002 ho iniziato la mia collaborazione, regolare, a Roma, con il Bibliothè. Dunque da ottobre a giugno, da circa 8 anni, faccio dei cicli regolari di introduzione ed approfondimento della lingua sanscrita.

A livello religioso quale è la tua formazione?

Ho avuto una formazione tipicamente cristiana fino a che i miei genitori, in particolare mio padre, hanno conosciuto, negli anni ’70, il movimento di Prabhupada. Sono dunque venuto in contatto con i devoti di Krishna, fin da bambino. I miei mi hanno lasciato sempre molto libero, ad esclusione del fronte alimentare in quanto, avendo abbracciato loro il vegetarianesimo, in casa non si mangiava carne. Io in principio ho seguito loro poi la mia adesione al vegetarianesimo ha iniziato ad essere consapevole. Verso i 18 anni ho preso in seria considerazione i principi cui si ispira il movimento di Prabhupada, fondamentalmente i principi del Bhakti Yoga che consistono nel condurre una vita in armonia con le regole celesti e con la dedizione, in amore, a Dio ed alle creature (significato di bhakti). Ho approfondito dunque gli studi della tradizione monoteistica indiana che si ispira al culto di Krishna e degli avatara (Rama, Varaha, Buddha ecc) e comunque all’Essere Supremo che si manifesta come avatara (in sanscrito, letteralmente, “discesa”), con nomi differenti ma che comunque rimandano sempre a lui, all’Essere Unico da cui tutto ha origine e verso il quale tutto tende nella percezione. Per me non è stato un rinnegare le mie origini occidentali ma è stato un prosieguo bellissimo, affascinante.
Posso dunque dire che la mia formazione spirituale sia di tipo cristiano-bhaktivedantico

Tu Gesù lo consideri un avatara? C’è molto dibattito all’interno dei cristiani che guardano con interesse all’India. C’è chi sostiene che Gesù abbia viaggiato in India e vi sia anche morto. Io sono stato sulla sua presunta tomba a Srinagar (in Kashmir) ed ho letto diversi libri. Ho anche conosciuto un docente kashmiro che ha fatto ricerche approfondite al riguardo. Tu cosa ne pensi? E come si pone, al riguardo, la vostra tradizione?

Non c’è una posizione ufficiale, in tal senso per quanto la maggiorparte dei leaders del movimento dei devoti di Krishna in Occidente propende a ritenere che Gesù abbia fatto effettivamente l’esperienza in India. Personalmente voglio mantenermi aperto a questa possibilità ma mi viene da pensare che a volte alcune grandi figure spirituali siano oggetto della tendenza ad appropriarsene, anche culturalmente. Sappiamo che c’è questo “buco” nei vangeli che va dai dodici ai 30 anni di Gesù e che ha generato tantissime teorie. Io penso ci siano tante possibilità, a partire dall’ipotesi che abbia vissuto presso gli esseni. Sono teorie belle che non possono essere negate a priori. Io amo pensare che siccome lo spirito soffia dove e come vuole ed essendo Gesù il figlio prediletto di Dio non avesse bisogno di una particolare educazione. Credo dunque che abbia avuto una formazione chiaramente ebraica e la cosa bella è che ci siano dei punti di contatto tra il suo messaggio ed i Veda e la cultura indiana.

Infatti è anche questo che fa propendere per una formazione indiana di Gesù. In ambito ebraico, difatti, il concetto stesso di incarnazione era assente anzi era considerato blasfemo (al punto che il Sinedrio condannò Gesù per bestemmia) mentre, come tu mi insegni, è un concetto assolutamente orientale, riprendendo proprio quello degli avatara. Il professor Hassnain ha scritto il libro “Sulle tracce di Gesu’ l’esseno” dove cita molte fonti sanscrite.
A questo proposito, iniziamo a parlare del sanscrito. Come ti sei avvicinato a questa lingua?

Ho fatto il liceo linguistico e poi mi sono iscritto alla Facoltà di Lettere ad indirizzo linguistico, a Pisa. All’inizio cercavo la Facoltà di Filosofia Orientale ma sarei dovuto andare a Venezia o a Napoli. Era il 1990. Sono dunque rimasto a Pisa, ripiegando sulle lingue. Il secondo anno mi è stato detto da un carissimo benefattore che lì si insegnava lingua sanscrita. E’ stata una scoperta ed un innamoramento immediato. Dunque ho sostenuto tutti gli esami di sanscrito e di indologia che potevo (due per corso). Nel frattempo avevo preso contatto con il Centro Studi Bhaktivedanta che aveva iniziato a collaborare con l’Università di Siena ed i corsi sulla filosofia delle Upanishad o della Bhagavadgita che ho seguito al Centro hanno contribuito a darmi un ordine più definito in merito alla letteratura ed alla filosofia indiana. Ho dunque sposato l’aspetto linguistico del sanscrito con quello filosofico. A Villa Vrindavan (principale sede italiana dell’ISKON), a metà anni ’90, ho tenuto il mio primo corso di sanscrito per i devoti residenti. Successivamente ho tenuto altri corsi sempre a Villa Vrindavan fino a quando, dopo la laurea, è diventata una professione.

In Italia quali sono i maggiori esperti di sanscrito? Io conoscevo Giuliano Boccali e Raffaele Torella…

A livello di grammatica, filologia, linguistica indoiranica io ringrazio il mio professore, Saverio Sani che insegna all’Università di Pisa. A mio avviso a livello linguistico lui è una delle persone più preparate che ci sia. Non conosco Raffaele Torella, nel senso che non ho mai avuto, con lui, un rapporto sul campo. Al contrario, ho avuto un ottimo rapporto con Saverio Sani ed ho potuto constatarne la grande preparazione. Lui aveva compilato una grammatica sanscrita, utilizzata in diversi atenei. Quest’anno è uscito il primo, grande, dizionario sanscrito-italiano da lui coordinato che per la ricerca italiana rappresenta un fiore all’occhiello. Sino ad oggi c’era un piccolo dizionario, edizione Vallardi. Ora è uscito questo enorme che include oltre 18000 lemmi ed è un’opera straordinaria.
Il sanscrito è una lingua meravigliosa, già il nome; sanscrito significa “lingua perfetta”. Ha un alfabeto straordinario, il Devanagari che vuol dire letteralmente “la scrittura della città degli esseri celesti”. L’alfabeto ha contribuito a creare il mito del sanscrito come lingua perfetta. Essenzialmente per due motivi: c’è una corrispondenza esatta tra oralità e grafia. Il sanscrito si legge come si scrive e si scrive come si legge. Io in italiano posso dire, ad esempio, “cigno” o “cane” ed utilizzo sempre la C ma in cigno la pronuncio come suono palatale, in cane come suono gutturale. Dunque uno stesso grafema è suscettibile di suoni diversi. In sanscrito ogni suono corrisponde ad un unico segno e viceversa e questo rimanda alla sua origine. Panini, considerato il maggior linguista dell’antichità, vissuto nel quinto secolo avanti Cristo, per preservare la lingua degli antichi Veda, chiamata Vac, caratterizzata da perfezione, purezza, armonia, creò un canone linguistico all’interno del quale sistematizzò questa lingua per sottrarla all’evoluzione naturale. Da allora si parla di lingua sanscrita che dunque nasce da una lingua, orale, bellissima, purissima. In altre parole possiamo dire che nasca dal suono vedico e riservi una grandissima attenzione alla fonetica. Si crede didattiche il suono non possa essere disperso perchè è l’origine di tutto, della creazione stessa. Prima caratteristica di quest’alfabeto è che riflette in maniera fedele tutti i suoni e va detto che, in quanto “alfabeto fonetico”, rappresenta la base delle ricerche più moderne sulla fonetica. Inoltre, al contrario del nostro alfabeto, derivato da quello latino che si rifaceva a quello greco ed ha un ordine casuale, l’alfabeto sanscrito è ordinato in questo modo: prima vengono tutte le vocali poi le consonanti, a seconda della successione degli organi fonatori, da quelli più profondi a quelli più esterni. E’ come se seguisse, questo alfabeto, la colonna d’aria e vedesse dove si pronunciano i suoni. Dunque prima vengono i suoni gutturali, che vengono pronunciati nella gola poi, seguendo la colonna d’aria, i suoni palatali, pronunciati nel palato. Dopo, i suoni cacuminali, pronunciati nella parte alta del palato e, infine, i dentali ed i labiali. La struttura stessa della lingua è straordinaria. Il nome presenta 8 casi. Noi conosciamo i 6 casi del latino, i 5 del greco. Gli 8 casi sono: nominativo, vocativo, accusativo, strumentale, dativo, ablativo, genitivo, locativo. Ci sono poi tre numeri: singolare, duale, plurale e tre generi: maschile, femminile e neutro.
Ci possono essere nomi che terminano in vocale: Krishna, Rama, Agni o nomi che terminano in consonate: Vac (parola), manas (mente).

Il sanscrito può essere considerata la regina delle lingue indoeuropee o, come sostengono alcuni studiosi, l’indoeuropeo stesso?

L’indoeuropeo è un concetto nato proprio con la scoperta del sanscrito. A livello ufficiale il sanscrito entra in Europa con la colonizzazione dell’India da parte del governo britannico. I primi indologi e sanscritisti famosi sono inglesi e tedeschi. La scoperta del sanscrito cambia la storia. Sino ad allora si parlava di una famiglia linguistica europea. Con la scoperta del sanscrito si arriva a parlare di una famiglia linguistica indoeuropea. Si vede che ci sono delle parole, nel lessico, che sono identiche non solo nelle lingue europee ma anche nelle lingue indo-iraniche. Ad esempio, se del lessico fondamentale dico “madre”, ho mater in latino, mother in inglese, matar in sanscrito. All’italiano padre corrisponde il latino pater, l’inglese father ed il sanscrito pitar. A Fratello: frater, brother e, in sanscrito, bhratar. Dunque, che ci sia una parentela è abbastanza evidente. La conoscenza del sanscrito portò a pensare ad una famiglia linguistica in quanto c’erano lingue tra loro sorelle. Sorse in quel periodo il dibattito in merito a quale fosse la lingua madre, da cui originavano le altre lingue della famiglia indoeuropea. Molti studiosi romantici (il romantico, a differenza del classicista, ricercava le proprie radici) si concentrarono sulla ricerca della lingua e della cultura originarie, giungendo spesso a sostenere che fossero riconducibili al sanscrito. La comunità scientifica, tuttavia, non ha mai accettato queste tesi perchè non si potevano dimostrare in maniera empirica. Venne dunque coniato, a tavolino, il concetto di indoeuropeo, una lingua che si ipotizza si sia estinta. C’è da rilevare che non c’è nessuna traccia della sua esistenza. E’ stata ricostruita sulla base della comparazione linguistica. Per questo credo sia più corretto parlare di famiglia linguistica indoeuropea nella quale il sanscrito ha un ruolo fondamentale in quanto gli studiosi ritengono che sia, comunque, la sorella maggiore delle altre lingue.

Sembra che la grammatica sanscrita e la grammatica greca siano molto simili. Ti risulta?

Certamente sono simili. Ci sono i casi, la struttura del verbo è molto simile. Abbiamo, nel sanscrito, i tempi dell’Aoristo, del perfetto, dell’Imperfetto che sono molto simili al tempo greco.

Non si può ipotizzare, a livello grammaticale, un’influenza del sanscrito sul greco?

E’ un’ipotesi suggestiva ma non ne so assolutamente nulla. A livello di ricerca non è presa nemmeno in considerazione.

Oggi il sanscrito è ancora parlato in India?

Sì, da cerchie ristrette di studiosi. Si studia ancora a scuola, in India.

In Italia e nel mondo sta aumentando lo studio del sanscrito?

Senz’altro sì. E’ recentemente uscito un articolo su La Repubblica, a seguito dell’uscita del dizionario cui ti facevo cenno prima. Su questo articolo il professor Sani sostiene che, rispetto agli anni ’90, gli studenti di sanscrito sono oggi decuplicati. Probabilmente per una concomitanza di fattori. Merita segnalare che circa la metà dei partecipanti ai miei corsi vengono dagli ambienti dello yoga che ha avuto un boom negli ultimi anni.

Mi vuoi dire qualcosa riguardo i numeri sanscriti?

Quelli che noi chiamiamo numeri arabi, gli arabi ce li hanno trasmessi nel medioevo. La numerologia araba ha inciso profondamente nei costumi della società del tempo. Sino ad allora si utilizzavano i numeri romani che altro non erano che lettere dell’alfabeto latino. L’utilizzo era veramente precario. Ne venivano fuori calcoli generalmente macchinosi ed imperfetti. I numeri cosiddetti arabi hanno rappresentato una rivoluzione culturale in Europa, dando impulso alle scienze moderne ed allo sviluppo poderoso dei commerci. Si è scoperto che questi numeri che noi abbiamo chiamato arabi sono, in realtà, di origine indiana. La cosa è accertata al punto che i nuovi libri di storia non parlano più di numeri arabi ma di numeri indo-arabi. Dunque le 10 cifre (dall’uno al nove e lo zero) che posizionate in modo diverso possono dare luogo alle decine, alle centinaia eccetera sono di origine indiana.

Quali sono a tuo parere le ragioni per avventurarsi nello studio del sanscrito?

Studiare il sanscrito è un po’ ritrovare le proprie origini. Una lingua è sempre il riflesso di un modo di pensare, di una cultura, una civiltà. Studiare la lingua sanscrita significa studiare una lingua che ha espresso valori altissimi quali quelli della civiltà antico-indiana che ha dato al mondo delle opere sublimi come il Mahabharata, il Ramayana dove ci sono dei valori universali che fanno parte della cosiddetta filosofia perenne della quale viene detto che il testo maggiormente rappresentativo sia la Bhagavadgita. Lo sosteneva lo stesso Aldous Huxley. Dunque studiare il sanscrito può dare l’opportunità di ritrovare dei valori dei quali purtroppo oggi la nostra società è abbastanza carente. Oltre al fatto che per chi ha interessi puramente linguistici è una scoperta continua che rivela come le lingue indoeuropee siano strettamente imparentate. Ad esempio se dico chirurgo o chiromante, posso ricondurlo al greco “cheir”, mano. Ma se so che in sanscrito mano si dice “cara”, davvero mi posso rendere conto quanto le parole che utilizziamo siano, in qualche modo, sempre le stesse. Mutano nella forma ma nella loro radici sono sempre le stesse. Noi nel nostro quotidiano utilizziamo un numero enorme di parole che hanno una radice sanscrita.

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