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venerdì 9 luglio 2010

Il condominio solidale di Villapizzone (MI): una forma più partecipata di co-housing.

Di seguito un interessante contributo da un gruppo di lavoro di studentesse dell'Universita' di Milano (Diana Passatutto, Monica Carraro, Simona Devivo, Viviana Comparin e Letizia Rossi Polidori) sulla celebre esperienza comunitaria milanese di Villapizzone. La prima del network comunitario di MCF (Mondo di Comunita' e Famiglia). Merita segnalare che una delle studentesse menzionate, Diana Passatutto, ha iniziato una bella e proficua collaborazione con la Viverealtrimenti editrice di cui e', al momento, la principle referente in Italia.

INTRODUZIONE
L’interesse di questo gruppo di lavoro si è inizialmente focalizzato sull’esperienza co-housing come modello abitativo alternativo. Da alcune prime ricerche, abbiamo considerato però che questo non è ancora radicato sul territorio come lo è invece il condominio solidale.
La presenza di un condominio solidale, può portare ad una riqualificazione di un quartiere di Milano in cui molto spesso si vive nella marginalità?
La finalità e gli obiettivi del nostro gruppo di ricerca sono stati quelli di indagare e conoscere più situazioni possibili per confrontarle tra loro e cercare di scoprire se esiste un collegamento tra la presenza di un condominio solidale e un territorio riqualificato dal punto di vista sociale e ambientale.
La fase iniziale del nostro progetto ha previsto una mappatura preliminare dell’ambito da indagare attraverso l’utilizzo della rete e ricerche di gruppo. Il target generale alla sulla quale ci siamo preposte inizialmente sono state le donne e bambini, successivamente ci siamo soffermate più in generale sui nuclei familiari in generale, soprattutto quelli facente parte di condomini solidali.
Per una prima e generale fornitura di informazioni, abbiamo effettuato ricerche individuali in Internet , le quali sono state confrontate tra di noi. Superato questo primo percorso, abbiamo proseguito con le ricerche di archivio e infine lavoro partecipato sul campo attraverso interviste ed incontri con i personaggi rappresentativi della zona che si sono resi disponibili.
In particolare, i testimoni privilegiati sono stati:

Il Mirino, mensile di informazione della zona 8 e 4 del comune di Milano;
•Massimo Nicolai, referente del mercatino dell’usato e abitante in Villapizzone;
•Cooperativa San Martino;
•Consiglio di zona 8;
•Centro sociale Torchiera – Tortuga.

1. VILLAPIZZONE: CENNI STORICI
-Il quartiere di Villapizzone è situato nell'area nord-occidentale di Milano, ex zona 20, divenuta con il decentramento del 1999 della città zona 8.
-Fino a metà degli anni Venti del '900 Villapizzone apparteneva all'ancora esistente comune di Musocco, insieme alle zone di Vialba e Garegnano secondo un criterio di vicinanza di comunità parrocchiali opranti in ambiti territoriali confinanti.
-Attualmente il quartiere viene delimitato secondo confini ridotti rispetto al passato e cioè: a nord da via Porretta e dal cavalcavia Palizzi, a sud da piazza Pompeo Castelli e le vie adiacenti C.Ajraghi e via degli Alianti, a est dalle vie Lambruschini e dal tracciato delle Ferrovie dello Stato e ad ovest da un tratto della via Varesina.
-La nostra ricerca si è concentrata su realtà presenti nel nucleo centrale del quartiere, piazza Villapizzone e vie limitrofe, ma ha voluto allargarsi, con pochi risultati, al Consiglio di zona 8 di via Quarenghi e al centro sociale Torchiera situato di fronte al Cimitero di Musocco.
-Il quartiere prima di essere incluso nel territorio milanese costituiva un'area agricola e risultava ricco di vegetazione boschiva e di campi messi a coltura, nonchè meta di gite fuori porta e meta prescelta dalle famiglie agiate per edificare cascine e corti per la propria villeggiatura.
-Villapizzone ha seguito il percorso comune a molte aree a ridosso di Milano ricalcandone le medesime trame in epoche storiche ben note. Ha visto realizzarsi il fenomeno di un'urbanizzazione irrefrenabile, l'insediamento di grandi industrie nelle immediate vicinanze e la riduzione, fino alla totale scomparsa, dello spazio coltivato, dei boschi e delle marcite.
-Ha vissuto un'espansione territoriale contemporanea ad un aumento demografico che ha portato allo sviluppo dell'edilizia economica e popolare sin dall'annessione del comune di Musocco nel 1923. Della stessa storia dell'edilizia economica e popolare milanese, Villapizzone ha seguito il percorso difficile e travagliato che ha avuto come tappe eloquenti le occupazioni abusive in massa degli anni '60 e '70 ed i conseguenti sgomberi effettuati con migliaia di poliziotti, l'organizzazione di comitati dei quartieri della zona 8 per difendere le aree 167, lo svolgimento di scioperi dell'affitto e le lotte per la ristrutturazione degli stabili datati e fatiscenti.
-Villapizzone ha un consistente patrimonio edilizia pubblica sovvenzionata da diversi enti erariali per un totale di 2.175 alloggi per quasi 8.000 locali, costruiti in periodi storici diversi. Le imprese private e le società immobiliari si affacceranno nello zona solo nell'ultimo ventennio. Fino a quel momento la maggior parte di lotti costruiti e venduti sarà regolata quasi esclusivamente dal Comune di Milano, direttamente o attraverso l'IACP e dalle cooperative edilizie che operavano nella zona di Musocco.
-La questione abitativa diviene urgente nel secondo dopoguerra con la riapertura di impianti produttivi e la creazione di nuove fabbriche. Bisogna dare una casa agli operai delle fabbriche e costruirne molte altre per fronteggiare l'immigrazione di massa dei lavoratori e delle loro famiglie.Oltre alla questione di emergenza logistica che è stata affrontata anche con occupazioni di carattere abusivo degli immobili, nel quartiere gli stessi caseggiati costruiti dall'IACP sono divenuti ghetti per lA popolazione meridionale o roccaforti per la malavita organizzata.
-Il caso emblematico nel quartiere di Villapizzone è costituito dalle case di via Emilio Bianchi che negli anni '90 era ritenuto il fortino della mafia e luogo di spaccio presidiato dalle cosche pugliesi e calabresi. Il progetto di risanamento dell'area ha visto la copartecipazione dell'IACP (divenuto in quegli ALER), del Comune,della Polizia (con l'acquisto di 40 appartamenti) e degli abitanti stessi del quartiere disposti a vigilare sul territorio e ad occuparsi degli stabili e dell'area verde circostante dopo il risanamento avvenuto con l'arresto degli spacciatori. L' evoluzione positiva della vicenda del complesso di via Bianchi è stata oggetto di numerose ricerche e tesi da parte degli studenti del polo universitario della Bovisa.
-La questione della casa a Villapizzone non è cambiata particolarmente, specie nell'edilizia pubblica, però non si sono più generati luoghi Bronx come i palazzi di via Bianchi e l'ALER ha effettuato varie manutenzioni e ristrutturazioni nelle case popolari più datate, come quelle di via Ajraghi. Nuovi residenti però hanno trovato rifugio nel quartiere: sono i rom che vivono nel campo nomadi di via Negrotto divenuti ormai stanziali. L'integrazione nella zona di questo gruppo eterogeneo di rom è stata faticosa sin dal loro arrivo all' inizio degli anni '90, ma con la mediazione dell'Opera Nomadi il campo ha guadagnato uno status di legalità che ha permesso il miglioramento della convivenza con gli abitanti del quartiere a cominciare da quella dei bambini tenuti a frequentare le scuole con regolarità.
-In quest'ultimo decennio Villapizzone ha subito i maggiori cambiamenti a livello infrastrutturale con l'apertura dell'omonima stazione del Passante Ferroviario nel 1998 e la dismissione della vecchia e degradata stazione di Bovisa. Maggiore è la mobilità, l'afflusso verso la zona è aumentato anche per l'insediamento della Triennale Bovisa e la sede del Politecnico. Attualmente è in corso un cambio di sensi della viabilità proprio nelle vie attorno alla piazza oggetto della ricerca del nostro gruppo. Il tipo di casa da noi analizzato, la forma abitativa del condominio solidale di Villapizzone creata nell'ex-villa Radice Fossati dai coniugi Volpi nel 1978, ci ha consentito di capire le dinamiche che si intrecciano nella vita di quartiere e che scattano tra i vari gruppi che vi abitano e che in esso cercano un luogo per sviluppare la propria identità.

2. IL CONDOMINIO SOLIDALE DI VILLAPIZZONE: STORIA DI UN’ARCHITETTURA “PARTECIPATA”
Questa storia comincia focalizzando sull’importanza della casualità, fonte di creatività umana.
All’inizio della sua avventura sulla Terra, l’uomo si è imbattuto casualmente in dei semplici materiali, i quali mescolati fra loro e nel rispetto assoluto delle identità, dei criteri e dei gusti di coloro che ne venivano in contatto, si creavano degli archi, dei collegamenti, formando così l’ ampio ventaglio di artefatti che noi oggi conosciamo.
Quando poi riesce a svilupparsi un equilibrio fra Competenza Carisma e Necessità vitali, ecco che la creazione che ne deriva risulta essere un’esperienza umana straordinaria.
Quella del condominio solidale di Villapizzone lo è diventata grazie all’incontro della “scienza della progettazione” con un’idealità forte, che verte sul bisogno di una convivenza abitativa più umana e funzionale alle proprie esigenze, non pensa solo al mero bisogno di collocarsi in un luogo.
L’evoluzione storica ha voluto che nel 1979 si incontrassero nello stesso luogo tre famiglie con un ricco e distinto bagaglio di esperienze sociali e spirituali anche internazionali alle spalle con in comune la stessa “voglia di insieme”. Il luogo in questione è un’antica villa, appartenente ai Radice Fossati, nobili della Milano dell’Ottocento, che ha sfortunatamente subito nel corso del tempo un grave degrado causato dalla noncuranza di una gioventù in fermento, quella di fine anni ’60 del Novecento dovuta alle prime delusioni politiche e sociali per un cambiamento che si rivela più lento e difficile del previsto. La villa vede quindi sottrarsi elementi costruttivi e finiture come canali di gronda , ringhiere dei balconi, elementi in pietra, davanzali e cornici delle finestre.
Senza violenza ma con determinazione, questi tre nuclei sociali, occupano via via tutte le stanze e man mano i ragazzi sbandati che erano rimasti, o se ne andavano o si integravano in questo piccolo mondo parallelo. Inizia così a delinearsi la comunità che da subito si caratterizza come “diversi ma insieme” perché nessuno intendeva rinunciare alla propria identità.
Per mantenersi, la maggior parte dei membri, svolge lavori manuali, artigianato con recupero e riuso di materiali rinvenuti da sgomberi di solai e cantine , ma non mancano anche impiegati professionisti con attività lavorativa esterna che partecipano alla comunità utilizzando spazi comuni magari anche solo il sabato, come il taglio della legna, pulizie, accoglienza di gruppi per incontri e ritiri. La rete composta da persone, famiglie, associazioni coinvolte inizia ad infittirsi e negli anni ’80 Villapizzone diventa un punto sicuro di riferimento per il quartiere e per la città.
Riferimento non solo per persone disagiate o emarginate, ma anche per donazioni e circuiti alternativi, come il Banco alimentare, iniziativa che ha reso possibile la partecipazione di persone esterne e amici che portavano cibi e bevande, coltivando e costantemente educandosi al valore fondante della fiducia. I frutti di tutto quanto seminato non tardano ad apparire sotto la forma di un fiorire di esperienze associative e culturali.
Elio Meloni ha voluto lasciare traccia della freschezza, dell’entusiasmo,della fiducia e della speranza che ha saputo diffondere il Geom. Bruno Volpi, rappresentante di una delle tre famiglie ritrovatesi e che è riconosciuto come leader all’interno della storia di Villapizzone, attraverso i suoi racconti. A lui piace sottolineare quanto gli piacesse “correre dietro alle palle perse” e quanto questo abbia giocato un ruolo fondamentale in quegli anni, negli anni giusti perché si voleva la fantasia al potere, fondarono così gruppo “Spacca e stoppa” E’ sempre stato un sostenitore del “correre dietro le palle perse” perché anche se complica un po’ la vita, quantomeno ne da un senso, gli ideali fanno star male perché comunque nella vita devi essere concreto.
Negli anni del boom economico, essendo più facile e comodo, tutti correvano dietro le palle vincenti,ma così facendo la vita ha meno sapore. Bisogna sognare di realizzare una rete con delle palle perse, solo così dai un senso alla vita. Alternativa è Costruire, non distruggere, ricomporre sogni e realtà, sperimentare le contraddizioni.
Laico perché il plurale di mio è nostro, non “di tutti”. Chiamandola comunità c’è il rischio che la gente si de-responsabilizzi, pericolo è di tutti quelli che ve ne fanno parte. Condominio solidale è un termine più laico e più comune perché di condomini piena la Terra perché c’è comunque privacy, si è comunque vicini, ma ognuno responsabile della propria vita , sentendosi allo stesso tempo in cordata con gli altri.
Questa nuova forma di abitare insieme, il co-housing, è in fondo solidale? o solo un modo di abitare vicini.
Esperienza ripetibile, anche convegno finanziato dalla regione Lombardia in cui è intervenuto il cardinal Martini, chiedendo ai promotori di “non raccontare ciò che hanno fatto, ma di raccontare ciò che hanno capito facendo”. Cascina a Castellazzo che nel giro di pochi anni si è riempita.
Ha dato possibilità anche ad altri di ripetere questa esperienza.
Nasce associazione Comunità e Famiglia. che faceva da ombrello e chi ci sta sotto ha il dovere di essere spontaneo. Oggi in 9 regioni d’Italia.
Il Geom. Volpi è diventato un leader perché ha saputo rendere felici anche i momenti di fatica vera, perché ha avuto sobrietà di idee, perché ha insegnato che la memoria del dono è doverosa ma libera e perché non è stato un capo a cui tutti obbediscono, creando così efficienza, ma ha prodotto umanità ed efficacia col suo motto “scappa o scoppia”.

3. FONDAMENTI E CARATTERISTICHE DELLA VITA COMUNITARIA
Il condividere un abitazione permette di approfondire nella quotidianità la vita comune. La condivisione si rivela una serie di incontri, dialogo , sostegno morale ed affettivo . Inoltre consiste anche in una sorta di impegno che richiede una necessità geografica.
Infatti, la comunità implica l’esistenza di legami oggettivi per i quali non è necessario provare sentimenti particolari in cui il singolo non cerca di assoggettare gli altri per realizzazioni personali.
Tale tipologia di vita comunitaria può essere denominata comunità di famiglie o macrofamiglia . Essa è una forma comunitaria il cui scopo è dare una risposta concreta alle difficoltà della famiglia nucleare, fornendo possibili ipotesi di vita pratica e un rimedio all’isolamento sociale.
In tale “organizzazione” la famiglia viene considerata la base della comunità stessa, la quale viene agevolata creando delle condizioni di vita armoniche strutturate in un contesto relazionale allargato in cui ciascuno sia accolto e sostenuto.
Il termine comunità, suscita aspettative ideali, mentre il termine condominio richiama alla quotidianità. Infatti, se in un normale condominio le famiglie tendono ad isolarsi, la comunità di famiglie cerca di abbattere le barriere tra le persone perché si impegna nell’essere solidale.
“Come tra marito e moglie si firma un patto, così tra famiglie stringiamo un patto di mutuo soccorso”
Si può dire che la comunità raggiunge visceralmente la realtà dei rapporti umani reciproci poiché è radicata nel territorio conoscendo la fragilità che può intercorrere nelle relazioni che vedono la condivisione del tempo e dello spazio come base primaria. Infatti, lo stare insieme è soggetto di una realtà articolata che esige differenziazioni e competenze specifiche. La novità sta nel fatto che i limiti tendono a diventare luogo di aiuto reciproco invece che di prevaricazione.
Il confine in questo senso rappresenta l’identità delle persone che scelgono di far parte di questa organizzazione. L’organizzazione dell’ambiente non è per niente qualcosa di statico e immutabile ma è continuamente modificato dell’ingresso di nuovi membri oppure dalla criticità e dallo sviluppo dei membri stessi , i quali, accettando l’ambiente non si vedono esclusa la sua possibile modifica naturale o intenzionale.
L’esperienza pratica delle famiglie aperte, inoltre, mostra nel concreto che chi è accolto non trova uno spazio già organizzato (statico), quanto una serie di condizioni in modo che ognuno possa trovare il suo spazio personale che viene scaturito dalle personali esperienze già vissute del soggetto, le quali verranno riversate nel gruppo e diverranno in questo modo parte del capitale sociale.
L’adattamento da parte di chi è accolto provoca un adeguamento all’interno del gruppo e, nello stesso tempo, riceve forti stimoli verso l’idea di cambiare, che lo possono condurre progressivamente ad un percorso autonomo.
In questo senso, l’empowerment della comunità sta nella solidarietà che permette ad ogni individuo di utilizzare le proprie risorse all’interno di un ambiente il quale non vuole rappresentare l’idea di conflitto ma quella di tolleranza valorizzando ogni individuo rendendolo propenso all’accoglienza e alla condivisione a vari livelli.

4. DIFFERENZA TRA CO-HOUSING E CONDOMINIO SOLIDALE
IL CO-HOUSING non è un utopia ma l’esperienza quotidiana di migliaia di persone in tutto il mondo che hanno scelto di vivere in una comunità residenziale a servizi condivisi.
Il co-housing nasce in Scandinavia negli anni 60, ed è a oggi diffuso specialmente in Danimarca, Svezia, Olanda, Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Australia, Giappone.
Le comunità di co-housing combinano l’autonomia dell’abitazione privata con i vantaggi di servizi, risorse e spazi condivisi (micronidi, laboratori per il fai da te, auto in comune, palestre, stanze per gli ospiti, orti e giardini...) con benefici dal punto di vista sia sociale che ambientale.
Tipicamente consistono in un insediamento di 20-40 unità abitative, per famiglie e single, che si sono scelti tra loro e hanno deciso di vivere come una “comunità di vicinato” per poi dar vita – attraverso un processo di progettazione partecipata - alla realizzazione di un ‘villaggio’ dove coesistono spazi privati (la propria abitazione) e spazi comuni (i servizi condivisi).
La progettazione partecipata riguarda sia il progetto edilizio vero e proprio – dove il design stesso facilita i contatti e le relazioni sociali – sia il progetto di comunità: cosa e come condividere, come gestire i servizi e gli spazi comuni.
Le motivazioni che portano alla co-residenza sono l’aspirazione a ritrovare dimensioni perdute di socialità, di aiuto reciproco e di buon vicinato e contemporaneamente il desiderio di ridurre la complessità della vita, dello stress e dei costi di gestione delle attività quotidiane.

Le 10 caratteristiche più comuni del co-housing:
Ogni progetto di co-housing ha una storia diversa e proprie caratteristiche, ma vi sono anche molti tratti in comune:
1. PROGETTAZIONE PARTECIPATA
I futuri abitanti partecipano direttamente alla progettazione del “villaggio” in cui andranno ad abitare scegliendo i servizi da condividere e come gestirli
2. VICINATO ELETTIVO
La comunità di co-housing sono elettive: aggregano persone dalle esperienze differenti, che scelgono di formare un gruppo promotore e si consolidano con la formazione di una visione comune condivisa.
3. COMUNITÀ NON IDEOLOGICHE
Non ci sono principi ideologici, religiosi o sociali alla base del formarsi di comunità di coresidenza, così come non ci sono vincoli specifici all’uscita dalla stessa
4. GESTIONE LOCALE
Le comunità di cohouser sono amministrate direttamente dagli abitanti, che si occupano anche di organizzare i lavori di manutenzione e della gestione degli spazi comuni.
5. STRUTTURA NON GERARCHICA
Nelle comunità di co-housing si definiscono responsabilità e ruoli di gestione degli spazi e delle risorse condivise (in genere in relazione agli interessi e alle competenze delle persone) ma nessuno esercita alcuna autorità sugli altri membri; le decisioni sono prese sulle base del consenso
6. SICUREZZA
Il co-housing offre la garanzia di un ambiente sicuro, con forme alte di socialità e collaborazione, particolarmente idoneo per la crescita dei bambini e per la sicurezza dei più anziani
7. DESIGN E SPAZI PER LA SOCIALITÀ
Il design degli spazi facilita lo sviluppo dei rapporti di vicinato e incrementa il senso di appartenenza ad una comunità
8. SERVIZI A VALORE AGGIUNTO
La formula del co-housing, indipendentemente dalla tipologia abitativa, consente di accedere, attraverso la condivisione, a beni e servizi che per il singolo individuo hanno costi economici alti
9. PRIVACY
L’idea del co-housing permette di coniugare i benefici della condivisione di alcuni spazi e attività comuni, mantenendo l’individualità della propria abitazione e dei propri tempi di vita.
10. BENEFICI ECONOMICI
La condivisione di beni e servizi consente di risparmiare sul costo della vita perché si riducono gli sprechi, il ricorso a servizi esterni, il costo dei beni acquistati collettivamente.

CONDOMINI SOLIDALI:

1.costituiti dall’azienda regionale servizi alla personaIn un condominio solidale vivono per la maggior parte persone disagiate: anziani, donne sole con figli, tutte persone che non hanno nessun appoggio oltre loro stessi, poi ci sono invece famiglie “normali” i quali componenti si mettono a disposizione degli altri aiutandoli con piccole azioni di “volontariato” o meglio si prestano ad essere solidali, grazie a questa combinazione di condomini si riesce a vivere tutti meglio, chi non ha parenti non si sente più solo perché si forma di fatto un ambiente famigliare.
Nella pratica inoltre si abbassa il costo di queste persone, ad esempio un anziano in un condominio solidale costa alla collettività la metà di un anziano in casa di riposo, tenendo conto soprattutto che l’anziano mantiene la sua indipendenza e i suoi ritmi di vita quindi sta molto meglio che in casa di riposo.
2.dell’associazione “comunità e famiglia”
Ogni Condominio nasce in base a un patto di mutuo soccorso che unisce un gruppo di famiglie intorno a un progetto comune. Condomini Solidali o Comunità di Famiglie sono una comunità di comunità. La famiglia, o una persona con il suo desiderio di famiglia, riconoscendo di non bastare a se stessa, decide, per realizzarsi a pieno, di vivere accanto ad altri in modo solidale: la comunità non si costituisce sulla fusione, ma sul vicinato solidale, non sulle norme, ma sulla fiducia reciproca; ognuno ha un suo appartamento, ha una sua sovranità inalienabile ed è totalmente responsabile di sé e delle proprie scelte.
L’equilibrio che si persegue tra valori e stile di vita ed il sostegno reciproco vissuto in una casa solidale, consente alle famiglie e alle persone di attivare risorse per l’accoglienza, scoprendo giorno dopo giorno che l’apertura è commisurata al ben essere e lo star bene è anche proporzionale all’apertura.
Si ricerca uno stile di vita sobrio, essenziale nei consumi, ma anche nelle idee, non l’accumulo e lo sperpero dei beni, ma si cerca di investire sulle relazioni con le persone nel rispetto dell’ambiente: come strumento per confermare la fiducia negli altri ed il cammino da compiere su se stessi, è utilizzata la pratica della cassa comune e dell’assegno in bianco. I proventi da lavoro si mettono insieme e mensilmente a ogni famiglia o persona che compone la comunità viene affidato un assegno da compilare secondo le necessità del mese e quello che non si utilizza potrà servire alle altre famiglie della comunità.
L'apertura del Condominio Solidale verso l'esterno produce dei benefici per l'intero luogo circostante. E questo non solo. per la riqualificazione delle aree degradate o per il lavoro in campo ambientale, ma anche e soprattutto perché crea intensi momenti di socializzazione.
Il Condominio Solidale può divenire un vero e proprio centro sociale autogestito, che non ha alcun costo per la collettività, ma che addirittura la arricchisce dal punto di vista umano e delle relazioni interpersonali.
Quella di Villapizzone è la prima esperienza di condominio solidale\comunità, negli ultimi anni stanno nascendo nuove forme di condominio solidale, a volte rivolte ad una particolare fascia di popolazione tipo anziani, disabili, ragazze madri. Molte sono esperienze nate dal basso, ma si inizia a vedere qualche movimento, anche se lento, da parte delle istituzioni.

CONCLUSIONI
Sia l’approfondimento di certe tematiche nelle lezioni frontali, sia la nostra personale curiosità attraverso la lettura di manuali al riguardo e soprattutto attraverso la ricerca sul campo e le successive interviste, ha permesso che siano stati chiarificati molti dubbi riguardo al condominio solidale e al co-housing.
La nostra ipotesi di partenza, espressamente descritta nello schema organizzativo, si soffermava sulla possibilità da parte di un condominio solidale di poter riportare innanzitutto ad un contatto con le persone (in un luogo ormai dispersivo come Milano) ed anche una possibile riqualificazione di un area territoriale.
Questa nostra ipotesi è stata confermata in parte in quanto il quartiere di Villapizzone si è dimostrato immediatamente ai nostri occhi ricco di associazioni, cooperative e centri di aggregazione in generale. Inoltre, un altro dato positivo riscontrato dalla nostra ricerca è stato quello collegato alla criminalità, infatti, la storia del quartiere ha subito un’evoluzione capace di arginare episodi di criminalità ed uscire dall’ “enclave” che spesso caratterizza quartieri periferici come questo.
Questa ricerca sul campo ci ha portato verso una nuova visione delle cose, una visione aperta e naturale, molto più di quanto lo si possa pensare.
L’idea del condominio solidale è nata dallo stimolo del ripensare la casa con criteri nuovi, non con il criterio dell’architetto che predilige la privacy e vede gli appartamenti ben distinti tra di loro, ma con un criterio comunitario. Questo criterio ha sottolineato l’importanza della solidarietà, prima nemica dell’isolamento.

Nel prossimo post: INTERVISTA A MASSIMO NICOLAI REFERENTE DEL MERCATINO DELL’USATO E ABITANTE DI VILLAPIZZONE.