TRANSUMANZA

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mercoledì 4 agosto 2010

Con Jasmuheen al Kumbh Mela.

Di seguito la prima parte di un diario di un'esperienza avuta a Marzo di quest'anno: la partecipazione ad un workshop con l'australiana Jasmuheen, celebre perla sua capacita' di non assumere cibo solido da circa 16 anni, nel cuore del piu' grande raduno hindu: il Kumbh Mela.
Il diario che da oggi condivido, a puntate, con i lettori di Viverealtrimenti contribuira' a comporre uno dei prossimi testi della Viverealtrimenti Editrice.


Varanasi 8/3/2010

Iniziamo questo testo su di un’esperienza di crescita integrale considerando uno dei miei vizi più antipatici: fare i bagagli all’ultimo momento. Un vizio tanto più fastidioso quando si connette con quella che io considero, invece, una bella abitudine: alzarsi con comodo!
Il treno è alle 8.30. In India i treni sono spesso in ritardo ma sembra quasi abbiano la pessima abitudine di essere in orario quando farebbe davvero comodo ritardassero un po’. Oggi è uno di questi casi e lo sarà, tanto più, domani. Un anno fa esisteva un numero telefonico con servizio comodissimo: informare riguardo l’entità del ritardo dei treni. Si parlava con operatori con gentilezza standardizzata e frasi preconfezionate. Dicendo loro il numero del treno, la stazione di partenza e quella di arrivo, erano in grado, un’ora prima dell’orario di partenza previsto, di informare con precisione pedantesca riguardo l’entità del ritardo. Come spesso accade in India, non ci si può affezionare a nulla; tutto avviene in un modo che un occidentale fatica a non considerare scriteriato e caotico e dunque tutto si presta a reggere con enorme fatica alla prova del tempo.
Sono dunque le 7.00 del mattino di una ricorrenza che festeggia la donna ed io dovrei fare gli auguri a mia madre, in Italia e dimenticherò di farlo. Ho un bel bagaglio da preparare, una rapida routine, su internet, da fare, cavolfiori da cucinare, la doccia (teoricamente anche la barba) da non trascurare e vorrei dormire ancora.
Il bagaglio è impegnativo perché starò via circa quattro mesi dal mio domicilio di Varanasi. Sono diretto ad Haridwar, nel nord, in questi giorni ancora un po’ gelido, del paese.
Lì mi dovrebbe raggiungere Smriti-Yoga-Teacher che vorrebbe, finalmente, avere un’idea di Rishikesh, la capitale dello yoga, resa celebre da un periodo di permanenza dei Beatles, nel corso del 1968, nell’ashram di Maharishi Mahesh Yogi. Dovremmo poi raggiungere insieme Delhi ed io volare su Londra e, dopo alcuni giorni, su Roma per spendere tre mesi in Italia e ritornare a Varanasi solo i primi giorni di Luglio. Devo dunque stare attento a non dimenticare nulla quest’oggi. Dimenticherò, invece, più di una cosa. Anyway: la mail viene controllata, il blog-magazine aggiornato, non c’è tempo per la consueta scorsa al Corriere della Sera. Nel frattempo l’acqua è a scaldare nel secchio di metallo, con resistenza metallica (non si può pretendere, comunemente, uno scaldabagno a Varanasi), le cipolle soffriggono in padella, poco dopo il cavolfiore ed i piselli saranno in procinto di raggiungere uno stato di semicottura. Non ci sarà il tempo, tuttavia, per una cottura integrale e li mangerò, sul treno, “un pochino al dente”.
Non c’è niente di meglio e di peggio che avere i minuti contati. Di meglio perché si vive una sferzata di adrenalina che fa concentrare il proprio essere sul presente, sul cosiddetto ed inflazionato “qui ed ora”. Di peggio perché ogni tanto la rabbia e la frustrazione prendono il sopravvento. Rabbia e frustrazione che possono anche essere viste nella loro funzionalità e, a volte, bellezza. Gli occhi di una persona che viva una rabbia umana e non animalesca, difatti, asciugano la realtà da sbavature spesso del tutto inutili. Credo, paradossalmente ed in controtendenza a quanto dicono molti, che la rabbia possa rendere lucidi, a volte. Sgombra il campo da compromessi mentali, stimola l’azione.
Sono in qualche modo geloso della mia rabbia, vivendo la maggiorparte del mio tempo in un paese — l’India ― in cui i più snob fanno mostra continua di imperturbabilità. La stessa che alimenta, appena sotto traccia, le peggiori perversioni.
A margine di tutto questo riusciamo comunque, con Smriti, a raggiungere la stazione in tempo, a fronte di una poco provvidenziale puntualità del treno.

Nel mio stesso scompartimento trovo Luca, un ragazzo italiano che, negli ultimi sette anni, ha vissuto quasi ovunque, in Europa, tranne che in Italia.
Sta andando anche lui al Kumbh Mela perché spera di farsi un buon curriculum come fotografo. Ha lavorato come tecnico per il suono ed ha fatto altri lavori (ad esempio per conto di E-Bay) a Barcellona, Vienna e Berlino. È giunto in India dalla Palestina, dove ha fatto parecchie fotografie nei campi-profughi. È stato qualche giorno in ospedale, in isolamento, a Gerusalemme, perché aveva contratto il morbillo. Insomma, come gli ho detto dopo che siamo entrati un minimo in confidenza, ne ha fatta di strada dal quartiere Mirafiori di Torino, dove viveva insieme alla madre. Anche io ne ho fatta un po’ da Via Mattia Battistini, poco distante dal famigerato quartiere di Primavalle, a Roma.
Il nostro è uno di quegli incontri che si possono fare in India, incontri che hanno una qualità diversa, peculiare. È senz’altro uno degli aspetti positivi di questo paese.

Arriviamo praticamente in orario, alle 4.00 di mattina, ad Haridwar. È freddo. La stazione è più pulita dell’ultima volta che ci sono passato, circa 4 anni fa. Gente in attesa dei treni o che, semplicemente, vive in stazione perché non ha altri posti dove stare, se ne sta imbacuccata in vecchie coperte. Ci fermiamo, con Luca, in un vecchio daba, appena fuori la stazione. Non mancano gli avventori; gli indiani sono, notoriamente, molto mattinieri. Ci sono 6 tavoli, ciascuno fiancheggiato da due panche. Sei tavoli dove ce ne starebbero comodamente quattro. I due in eccesso ci costringono a sedere in uno spazio particolarmente angusto, con il bordo del tavolo sullo stomaco. Ordiniamo del chai e qualche biscotto salato. Io siedo con vista su sgabuzzino illuminato dove sorprendo presto un topo di dimensioni medie aggirarsi scattante e furtivo. Finiamo la nostra frugale consumazione e siamo in strada, nuovamente al freddo (per quanto anche nel daba non si stesse caldissimi), accerchiati da 3 o 4 disperati che tentano di venderci, a caro prezzo, un passaggio in tuk tuk. Riusciamo a strapparlo per 250 rupie (scendendo di 150 rupie dal prezzo loro, di partenza). Partiamo ed il tuk tuk, aperto ai due lati, non ci preserva minimamente dal quasi gelo delle ultime ore della notte. Io sono senza soldi. Chiedo dunque al guidatore di fermarsi in prossimità di una banca. Provo a prelevare ma lo schermo della banca, dopo aver composto il PIN, riporta la scritta Sorry, operation has been declined!
Proverò in altre due banche dove non dovrò nemmeno inserire la carta, trovandomi di fronte alla scritta Sorry, service is not available!
È questa l’India delle piccole cose, la faticosissima India delle piccole cose, di un freddo, sul tuk tuk, che si potrebbe evitare, del sedere scomodi in spazi angusti nel daba, dei bancomat che spesso (troppo spesso) non erogano soldi, dei tuk tuk drivers e dei negozianti che non hanno quasi mai il resto, di una popolazione in buona parte miserabile che non riesce a tenere a freno la propria maldestra, a volte tenera, avidità né riesce, in generale, a contenere i propri impulsi, i propri istinti, tendendo a prevaricare il proprio prossimo in ogni modo, in barba ad ogni cultura del contratto sociale (che ha fatto invece la fortuna dell’Europa), determinando un’atmosfera generale che non può non degenerare in una sorta di lotta di tutti contro tutti.
Malgrado qualche fisiologica frustrazione, raggiungiamo facilmente il campo dove inizierà, il 10 marzo, una settimana di workshop con Jasmuheen e Swami Nardanand. Jasmuheen credo possa essere considerata un sorta di leader mondiale della New Age. Si è resa particolarmente celebre per riuscire a nutrirsi, direttamente, di prana, senza aver bisogno, come mi avrebbe detto dopo qualche giorno una sua allieva, di passare attraverso l’ordinaria mediazione del cibo (la cui trasformazione/alchemizzazione, nell’apparato digestivo, avrebbe come esito, a sua volta, la produzione di prana; energia).
Sono circa 16 anni che Jasmuheen non ha più bisogno di mangiare, limitandosi a degustare qualcosa, ogni tanto, solo per ragioni familiari o sociali. Non ha, tuttavia, cessato di assumere liquidi.
Swami Nardanand è invece il nostro ospite, in virtù del fatto che il workshop con Jasmuheen avrà luogo nel campo dell’ashram di cui è la massima figura carismatica: il Siddha Ashram di Ujjain.
Tornando alla mia esperienza, arrivo poco dopo le 5.00, lasciando Luca sul tuk tuk dopo avermi, gentilmente, anticipato i soldi.
Amit, il tuttofare di Swami Nardanand, è già sveglio e si sta lavando la faccia ad uno dei due lavandini pubblici del campo. Anche lo Swami è già in piedi, con il suo lungo barbone brizzolato e, pur nella generale spartanità ascetica del personaggio, ben tenuto. È vestito in arancione, come da tradizione, con il colore del fuoco, dunque della purezza (bruciando, il fuoco, tutte le impurità).
Amit mi mostra la tenda. Come riportato nel PDF spedito da Jasmuheen, la tenda ha una propria lampadina, una spessa stuoia, in terra, su cui poggiano un paio di materassini coperti, ciascuno, da un lenzuolo insolitamente pulito.
Le condizioni sono dunque spartane ma decenti, a fronte di situazioni veramente limite nei Kumbh Mela. Lo dico non solo perché è risaputo ma anche per esperienza diretta.

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